Apprendisti giovani

Precari o disoccupati, in fuga all’estero, con identità sempre più sfumate: i giovani italiani di oggi spesso vengono descritti così, perennemente in crisi, diventano adulti sempre più tardi, sono sempre più dipendenti dalle famiglie d’origine. Ma è proprio vero? «Hanno bisogno di più coraggio» dice Nando Pagnoncelli, sondaggista e presidente Ipsos. In fondo vedere il bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno è una questione di punti di vista. E comunque, in questo contesto sociale fluido e veloce «gli oratori continuano a giocare un ruolo di primo piano».

Perché indagare sugli oratori?

«Questa è una fase particolare e interessante perché l’oratorio è riuscito a mantenere un proprio ruolo e una propria identità in una fase in cui si mettono invece in discussione tutte le altre agenzie educative. E’ davvero un crocevia in cui diverse realtà si incrociano e che contempla situazioni molto eterogenee, con bisogni e aspettative anche molto lontane tra loro. E’ un luogo di ricreazione ma anche di supporto a problemi legati all’adolescenza, si occupa dell’inserimento e dell’inclusione della popolazione straniera e di disagi di vario tipo: disabilità, situazioni di povertà vera e propria, difficoltà scolastiche. Tra le attività dell’oratorio la più conosciuta e quella simbolicamente più rappresentativa è quella dei Centri Ricreativi Estivi che da un lato svolgono un ruolo di “supplenza” perché si occupano dei ragazzi in un momento in cui la scuola non c’è e dall’altro combinano elementi diversi con molta apertura e libertà pur all’interno di un progetto educativo. Nella ricerca che stiamo avviando per gli Oratori delle diocesi lombarde ci occuperemo proprio di approfondire questo progetto».

Oggi all’oratorio si trovano più che in passato anche giovani di venti o trent’anni…

«Per i ventenni e i trentenni spesso oggi mancano i punti di riferimento. Molti studiano ancora, altri lavorano anche se in situazioni ancora precarie. Una volta l’oratorio era soprattutto un luogo che educava e accompagnava gli adolescenti. Oggi ha ancora un ruolo anche per i ragazzi di questa età, diventa un posto dove poter svolgere attività di crescita personale».

E’ più difficile diventare adulti?

«Le identità delle persone sono complesse, è una conseguenza del cambiamento antropologico che ha portato alla frammentazione identitaria, a tante contraddizioni e ambivalenze. Ci sono molte situazioni di multiappartenenza in cui lo stesso individuo esprime bisogni diversi nei diversi ambienti in cui è inserito e non sempre riesce a tenere insieme e ad armonizzare questi diversi aspetti. L’oratorio invece magari può aiutare in questo, può giocare un ruolo importante se permette all’individuo di crescere, lo aiuta ad armonizzare le diverse esperienze, ad avere uno sguardo coerente sul mondo e una visione sintetica del sé. L’esempio che faccio spesso è quello dell’operaio che è iscritto alla Cgil, ma vota Lega e la domenica va a Messa: a tre tavoli dà tre risposte diverse, e magari non le sente nemmeno come in conflitto. L’oratorio mette al centro l’individuo nella sua coerenza e nei diversi ambiti in cui è chiamato a vivere».

Qual è la questione più importante su cui puntare per offrire un futuro ai giovani? Il lavoro?

«Noi immaginiamo sempre un discorso centrato sul lavoro, ed effettivamente è questo lo strumento con cui si costruisce l’indipendenza dalla famiglia d’origine. Ma questo è soltanto un aspetto, ce ne sono altri comunque essenziali come la necessità di affrontare rischi e responsabilità in più, la capacità di sfidare la vita. I giovani di oggi danno l’idea di vivere con il freno a mano tirato, con troppa prudenza, come sembrano dire i lunghi periodi di convivenza prima del matrimonio. Alla base c’è un atteggiamento un po’ troppo prudente, l’idea che comunque il rischio debba essere calcolato e che ci debba essere un tornaconto in ciò che facciamo. Se la situazione è questa, non è detto che basti avere un buon lavoro per avviare dei progetti di vita».

Quali sguardo hanno i giovani sul futuro?

«Dicono tutti di desiderare una famiglia, magari numerosa, ma proiettano la realizzazione pratica molto in là, senza pensare che il futuro si costruisce oggi, bisogna mettersi in gioco e ci vogliono, certo, opportunità occupazionali, ma anche una progettualità individuale e sociale, la voglia di rischiare e di mettersi in gioco, la capacità di abbracciare il futuro senza avere certezze, perché la vita si costruisce ogni giorno».

E l’oratorio cosa può fare?

«Aiutare i giovani a strutturare un progetto e a perseguirlo senza fermarsi al primo inciampo. E poi, certamente, costruire una dimensione comunitaria che li sostenga nelle difficoltà e quando l’entusiasmo è debole, nel rispetto delle scelte individuali e senza essere intrusivi. Può aiutare ad avere uno sguardo critico sul mondo».