Soli nello spazio

“Life in space is impossibile”, ci informa una didascalia iniziale. E allora se la vita nello spazio è impossibile, perché l’uomo ci va? Perché è la “nuova frontiera”, bellezza, e non certo da oggi. “Go West, young man!”, oltre che il titolo del film di Henry Hathaway (1936) è anche lo slogan che informa, da sempre, la cultura americana: quella della “nuova frontiera” di kennedyana memoria. Se la conquista dell’Ovest (Go west!) ha informato la gran parte della mitologia di uno dei generi fondatori del cinema americano, il western, le successive tappe di quella vera e propria corsa all’oro, sono state, via via, una volta conquistato appunto, l’Ovest selvaggio, la scoperta di altre “nuove frontiere” da raggiungere e da superare. Da quelle della mente: “The Doors” si chiamava il celebre gruppo musicale capitanato dall’indimenticato Jim Morrison proprio perché volevano aprire le porte della percezione attraverso, in questo caso, l’esperienza psichedelica, fino, esaurite le scoperte geografiche e quelle psichiche, ad identificare la nuova frontiera nello spazio. “Il cielo è il limite” dirà poi la celebre saga di Star Treck. Oggi nemmeno più il cielo lo è.

AI MARGINI DEL MONDO

Tanto che George Clooney e Sandra Bullock, i due protagonisti del film di Alfonso Cuarón, Gravity (che ha aperto, fuori concorso, la Mostra del Cinema di Venezia e da qualche giorno è nelle sale salutato da un grande successo di pubblico), quando inizia il film, stanno compiendo quella che è a tutti gli effetti un’operazione di routine. Una passeggiata nello spazio per riparare un danno al telescopio Hubble. Volteggiano nello spazio, senza gravità, beandosi della visione dell’aurora o del delta del Gange che, visti da lassù, sono uno spettacolo che pochi hanno il privilegio di osservare e che riconciliano, straniandosi dalla miserie che qui ci affliggono, con il nostro pianeta. Succede però che uno sciame di detriti prodottisi dall’esplosione di un satellite, colpisca i nostri due protagonisti e soprattutto distrugga il loro shuttle. Ora sono soli, dispersi, senza gravità, nell’immensità dello spazio profondo. Riusciranno a rientrare sulla Terra? Silenzio, assenza di ossigeno, buio, assenza di gravità: la vita nello spazio è davvero impossibile eppure, in questo che è a tutti gli effetti un thriller spaziale, il regista di “Harry Potter e il prigioniero di Azkaban” riesce a costruire una vicenda che fa riflettere sulla vita e sulla morte, sulla perdita di sé e il ritrovarsi, sull’evoluzione della specie umana (si veda il finale), che ci perde nell’immensità del cosmo per ricordarci la nostra finitezza.