Don Sergio Colombo

Don Sergio Colombo è morto, nella notte tra il 9 e il 10 ottobre. Non avremmo mai pensato di dover cominciare l’esperienza del nostro settimanale con una notizia così. Don Sergio Colombo era un prete della diocesi di Bergamo. Ma la sua figura – lo si deve dire senza paura di esagerare – domina la scena della Chiesa di Bergamo, e non solo di Bergamo, del dopo Concilio.

Mentre siamo ancora sconvolti dalla notizia vogliamo “buttar giù alcune cose da ricordare” che riguardano l’impareggiabile amico e maestro scomparso, ma che riguardano, in qualche modo, tutta la comunità cristiana nella quale è cresciuto, dalla quale ha ricevuto e alla quale ha dato, moltissimo.

Ricordiamo la capacità di tessere rapporti, la straripante allegria con cui viveva le amicizie, le serate passate a parlare, parlare, parlare e a ridere da amici, fraternamente. Non riesco a ricordare le barzellette, molte e molto belle, che raccontava. Il dolore le cancella.

Ricordiamo lo straordinario magistero di insegnante di teologia morale e di pastorale. Intere generazioni di preti hanno preso idee, passione per le idee, passione per le cose buone che le buone idee possono produrre.

Ricordiamo la sua nobiltà d’animo che gli ha fatto accettare con serenità l’allontanamento dal seminario da parte di mons. Oggioni, che vedeva nella leadership di don Sergio qualcosa di pericoloso. Ha accettato e si è “riciclato” senza drammi. E come era un punto di riferimento nel suo insegnamento in seminario, così lo è diventato nella sua attività pastorale. Redona è diventata rapidamente un modello da prendere comunque sul serio. E da imitare. Anche chi non condivideva prendeva in considerazione, perché quell’esperienza era, in ogni caso, interessante, ragionata, bella. E verso mons. Oggioni non ha mai nutrito risentimenti, ha collaborato onestamente e positivamente. Come ha collaborato con i successori di Oggioni, con la stessa lucidità e la stessa onestà.

Ricordiamo il suo amore per la Chiesa, anche e soprattutto quando la criticava, ne denunciava le lentezze, le troppe approssimazioni. Che quelle critiche fossero dettate dall’amore di fondo che nutriva per la Chiesa, lo dimostra il fatto che ha discusso molto ma non ha mai litigato e non ha mai nutrito rancori. Sapeva andare d’accordo perché sapeva sempre vedere l’uomo al di là di quello che pensava e di quello che faceva. Don Sergio è stato un impareggiabile uomo del dialogo.

Ricordiamo la sua passione per l’uomo. O il Vangelo è per l’uomo o non è: era la sua ripetuta, quasi ossessiva convinzione. Qualcuno di noi lo chiamava il “don Antropologico”: era questo il termine che tornava continuamente in tutti i suoi discorsi. Ma era il segno di una passione sincera, forte, convinta che lo dettava. E questo lo ha fatto presentare come uomo di Chiesa convincente a molti uomini che di Chiesa non erano. Redona è diventato un faro di passione culturale, di elaborazione di idee e di progetti. Se un difetto c’era in tutto questo era che quelle idee erano talvolta così belle che non tutti le capivano. Ma bastava parlare con don Sergio per capire che erano belle anche se non si capivano. La sua “verità umana” era la vera garante. Don Sergio è diventato un uomo “interessante” per tutta la città che lo conosceva e lo apprezzava. La comunità di Redona era nella città e si vedeva che c’era e la città, anche le Amministrazioni, hanno incontrato e ascoltato la comunità di Redona.

Ricordiamo, delle tantissime cose fatte, la sua propensione per le cose belle e, tra le cose più belle, la liturgia. Entrando nella chiesa di Redona si ha la sensazione nettissima di entrare nel rigoroso spazio, bello e accogliente, dove si prega, si medita la Parola, dove una famiglia molto particolare si sente a casa sua. Don Sergio aveva una passione intelligente e acuta dell’arte. La “sua” chiesa è bella perché lui ha sempre prediletto le cose belle.

Ricordiamo. Ecco: possiamo solo ricordare, ora. Ma un ricordo bello diventa memoria e la memoria vive, in qualche modo. È come se un testimone così straordinario diventasse ancora più, adesso che non c’è più, fratello e figlio di tutti.