Troppo soli

Quando un matrimonio si rompe, vanno in pezzi anche tante sicurezze personali e sociali, come rivelano le testimonianze di chi ci è passato. I giudizi pesano, ci si sente segnati a dito, confusi, tagliati fuori dalla vita delle comunità. Ecco le storie di alcune persone legate al gruppo diocesano «La casa».
«Il peso della mia separazione e poi del divorzio – racconta Anna – con tutto ciò che rappresentava, era così grande che avevo l’impressione di poter mostrare agli altri solo il mio fallimento, la mia mancanza. Portavo dentro di me un profondo senso di colpa. È vero che tutti siamo peccatori, ma la situazione di una separata e divorziata è pubblica. All’interno della propria comunità tutti lo sanno, tutti lo possono vedere. Si vorrebbe poter dare una giustificazione o poter in qualche modo rimediare alla cosa, ma questo a volte è difficilmente possibile. Quindi una condizione non solo pubblica, ma che può perdurare nel tempo. In questa prima fase mi sono sentita molto separata dalla mia comunità e dalla Chiesa più in generale, non perché qualcuno mi ha allontanata, ma perché io non mi sentivo degna e ne ho preso le distanze. Questo ha avuto naturalmente dei risvolti molto pratici nella mia vita. Per esempio: per un certo periodo di tempo non sono più riuscita ad andare a Messa nella mia parrocchia, ho fatto fatica a riaccostarmi alla comunione, mi sono praticamente ritirata dalla vita della mia comunità».

TANTE FORME DI SOFFERENZA

«Basta che un separato accetti di fare un serio cammino su di sé – racconta Gianni, un uomo separato – per arrivare alla scoperta di non essere separato dalla propria comunità? No, non basta. Nelle nostre comunità ci sono tante forme di sofferenza. Il separato non vive una sofferenza speciale e per questo non domanda di essere trattato in modo speciale; ma trovo che la sofferenza del separato sia in qualche modo provocatoria e per questo chiede qualcosa di più alla comunità cristiana, uno sforzo ulteriore, un di più che la comunità, nelle persone che la pongono, non sempre oggi riesce ad offrire. Ancora troppo spesso il separato è visto come un diverso, una specie di cristiano che non ha tutte le carte in regola. E poi la sua situazione provoca, fa nascere domande e… diventa un problema… Io amo la mia comunità e cerco di vivere in essa anche nella condizione di separato; ma penso che ci sia ancora da camminare, per tutti. A mio avviso la comunità è divisa. Accanto a persone che sono autenticamente aperte all’accoglienza ve ne sono altre che fanno veramente fatica a porsi in ascolto e a non giudicare e, mi dispiace dirlo, questo accade più frequentemente tra le persone attive in parrocchia e apparentemente più vicine alla Chiesa».

RIMEDIARE AD UNO SBAGLIO

«Il mio matrimonio – racconta Riccardo, divorziato e risposato – fu celebrato quando ero giovane in fretta e furia per una gravidanza in corso; la separazione è stata il risultato largamente previsto. In seguito ho conosciuto un’altra donna e ho iniziato con lei una nuova e più matura relazione. Ci siamo sposati in municipio il 1° settembre 1984. Il primo figlio è nato nell’estate del 1985, e il secondo a marzo del 1987. Per loro abbiamo chiesto il battesimo, un po’ per lo stesso motivo per cui ci siamo sposati, un po’ perché, sebbene ci pensassimo scomunicati, i rapporti tra il Signore e i nostri figli ritenevamo non fossero solo nostra competenza, forse la sua parte l’avrebbe fatta anche lo Spirito Santo. È stata la prima volta che sono ritornato in chiesa dopo tanti anni. Ma è subito finita lì. Non era ancora giunta la mia ora. Gli anni passano, i figli crescono e viene il momento della scuola e quello dell’iniziazione cristiana. Anche in questo caso abbiamo scelto la strada maestra e, per coerenza e per ciò che noi ritenevamo senso di responsabilità, non li abbiamo lasciati soli nel loro cammino. Abbiamo cominciato ad accompagnarli regolarmente a Messa la domenica, li abbiamo introdotti all’oratorio, abbiamo fatto festa grande per i loro primi sacramenti 1994, 1995, 1998, 1999…… Li abbiamo appoggiati con serietà e orgoglio quando hanno voluto fare i chierichetti …. L’ambiente della Chiesa e della comunità cristiana ha iniziato a ritornarci consueto, pur con alcuni grossi limiti, ad esempio il grande dolore di non poter accedere ai sacramenti, e più in generale la sensazione di essere un po’ emarginati o guardati con sospetto; ma oggi mi chiedo quanto questo dipendesse dalla comunità e quanto da noi stessi».

TESTIMONIANZA PREZIOSA

Separati e divorziati dentro la Chiesa, una volta compiuto un cammino che li aiuti ad affrontare e a recuperare la loro esperienza personale di vita possono offrire alle loro comunità una testimonianza unica, come spiega Oliviero Dal Molin, 54 anni, sposato, padre di tre figli e da sei anni diacono permanente e animatore del gruppo «La casa»: «Non a caso – racconta – spesso vengono chiamati a intervenire durante i corsi per i fidanzati, perché è importante sapere nel momento in cui una coppia sta mettendo su casa quali sono i punti critici, le possibili fragilità di un matrimonio. Così una ferita ricevuta può diventare un dono per qualcun altro». L’esclusione dai sacramenti è uno scoglio che si può superare con uno stile diverso di partecipazione: «Esistono spazi e modi diversi vivere la fede cristiana. Certo, la Chiesa chiede a queste persone la rinuncia ad accostarsi all’eucaristia e alla penitenza. Pensiamo che questo non abbia valore, invece non è così: è un’esperienza che può spingere qualunque altro cristiano che si trovi a contatto con loro a riflettere su se stesso e sulla propria fede.