Doppia identità

Vivere in bilico tra due culture, a volte è come essere in guerra. Si è parlato di “Pace e guerra nel Corano” durante l’incontro organizzato da “Molte fedi sotto lo stesso cielo”, a cui hanno preso parte Paolo Branca, docente di lingua e letteratura araba e di islamistica alla Cattolica di Milano, insieme a Lubna Ammoune e Imane Barmaki, del blog di Vita “Yalla Italia”, in cui i ragazzi di seconda generazione si raccontano nella loro quotidianità. L’esperienza del conflitto è davvero vita quotidiana per i ragazzi figli di immigrati ma cresciuti in Italia, che faticano a sentirsi “a casa” qui da noi ma anche nella patria della loro famiglia.

NON SIAMO POI COSI’ LONTANI

Per Lubna, studentessa universitaria e redattrice, nata e cresciuta a Milano da genitori di origine siriana, “conflitto d’identità” è una parola che non rientra nel suo dizionario: “Ho sempre vissuto con serenità questa doppia cultura e la mia esperienza è stata positiva, a scuola, in università, nella vita di tutti i giorni. Ho vissuto in prima persona il cambiamento della società italiana: alle elementari ero l’unica bambina di origini straniere, mentre alle superiori eravamo un terzo su 18. Fortunatamente ho avuto docenti che hanno saputo valorizzarmi e mi hanno invitata a scoprire il mio patrimonio. La mia identità così dinamica è fonte di orgoglio”. L’unica nota negativa, è il non poter votare: Lubna non ha infatti la cittadinanza italiana, bensì doppia cittadinanza tedesca e siriana. Nonna di Berlino, madre siriana-tedesca e padre siriano, in Italia dal 1972 (cittadino italiano, così come la sorella più piccola che è potuta diventarlo in quanto minorenne), Lubna ha ricevuto la cittadinanza tedesca per ius sanguinis.  “Anche se sulla carta non risulta che sono italiana – sottolinea -, questo non interferisce sulla mia italianità, non toglie nessun sentimento patriottico. Sorrido quando mi chiedono se mi sento integrata: essendo nata e cresciuta qui, come si fa ad integrarsi?”. Anche per quanto riguarda l’approccio con il cristianesimo e le comunità di diversa fede de territorio, per Lubna a prevalere sono senza dubbio le somiglianze: “Vivo la mia fede come una questione intima e personale. I miei rapporti con le persone prescindono dalla religione, essa non è al centro di un rapporto di amicizia o di conoscenza. Certo capita che spesso appena mi conoscono, dato che porto il velo ed è il segno più visibile della mia appartenenza religiosa, mi chiedano opinioni su tematiche di attualità o intereligiosità.  Ma quando ci si confronta emergono i punti comuni più che le differenze, il che non significa annullarle, ma dar loro un altro peso”.

Imane Barmaki
Imane Barmaki

IL CONFRONTO AIUTA A CRESCERE

“Il mio nome è arabo, il mio cognome afghano, geograficamente sono marocchina, culturalmente italiana e storicamente francofona”: così ama definirsi Imane. Nata e cresciuta a Casablanca, è arrivata a Milano a 13 anni. “Nella mia classe, insieme ad un’altra ragazza di origini straniere, ero “l’extracomunitaria con ottimo”. L’unico momento in cui non mi sono sentita italiana è stato con l’entrata in vigore della Bossi – Fini. A livello sociale sentivo questa italianità, ma non a livello normativo, quasi imprigionata nel limbo della burocrazia, e ci soffrivo”. Alle superiori, due giorni dopo l’11 settembre 2001, mentre a livello mediatico la comunità musulmana veniva fortemente criticata, lei ha portato il Corano in classe per spiegare ai suoi compagni che l’Islam non aveva nulla a che fare con il terrorismo. Laureata alla magistrale in “Mercati e Strategie D’impresa” alla Cattolica di Milano, Imane ha riscoperto la sua fede proprio durante gli studi: “Studiando alcuni aspetti del Cristianesimo, andavo poi a confrontare il tutto con l’Islam, riscoprendolo con una chiave più critica ma allo stesso tempo più consapevole, rendendomi anche conto delle basi comuni”. Questo confronto con le altre fedi è continuato con la partecipazione, qualche anno fa, al “Percorso ABC – atelier biblico coranico” organizzato dal Pontificio Istituto Missioni Estere: “E’ stata un’esperienza al tempo stesso molto positiva e difficile,  in cui cristiani, musulmani ed ebrei si sono confrontati sia dal punto di vista teologico che della quotidianità. Ci si rende conto che alcune cose per noi sono scontate, ma per gli altri no, per cui si manca di sensibilità involontariamente”.