Chancay, Perù

C’è la sabbia al posto del pavimento nelle case della zona pastorale di Chancay, in Perù, dove Tiziana Fappani, delle suore delle Poverelle, è in missione da due anni. «Questa sabbia è dappertutto – spiega suor Tiziana – e sembra quasi impossibile abituarsi. Dopo qualche giorno, però, non ci si fa più caso». Così come ci si dimentica della mancanza di acqua e dei comfort che qui siamo abituati a dare per scontati: «Ma quello che scalda il cuore è il clima di solidarietà che c’è tra le persone, anche quando non hanno nulla, lo dividono con gli altri». Se nei quartieri qualcuno muore, qualcuno si ammala, parte la macchina degli aiuti: «Le signore del quartiere preparano il pollo e il riso – racconta suor Tiziana – un pranzo comunitario, e da ognuno raccolgono qualche soldo. Riuniscono le persone, fanno festa: tutti sanno che il ricavato serve ad aiutare chi ne ha bisogno».

Non è una città piccola, ci vivono ottantamila persone, ma c’è questo clima di vicinato che ormai qui da noi è difficile trovare al di fuori dei piccoli paesi, a volte nemmeno in quelli. È un luogo di immigrazione, la gente arriva dall’alto Perù, dalle zone di montagna. «Vengono sulla costa – continua suor Tiziana – perché pensano di trovare lavoro, ma spesso rimangono delusi. Poi si arrangiano come possono: le donne nei campi irrigui coltivano patate, carote, pomodori, mais e cavolfiori. Oppure i fiori: crisantemi soprattutto, gialli e bianchi. Gli uomini trovano posto negli allevamenti del pollame, oppure al porto e come tassisti. Non ci sono molti autobus, per spostarsi ci si arrangia con questi taxi che in realtà sono macchine scassate, ma comode, costano poco e le usano tutti».

Nella comunità La Candelaria con suor Tiziana ci sono altre due religiose e una novizia peruviana, suor Clorinda, che prenderà i voti il 23 febbraio. «È come un grande deserto. Molti non hanno l’acqua in casa, bisogna stare attenti agli orari in cui viene erogata, se si perde l’ora si rimane senza. Ma in fondo cinquant’anni fa era così anche in Italia, quindi forse c’è speranza anche per questi poveri. Il presidente sta facendo molto, sembra che le condizioni delle persone stiano migliorando».

UNA PICCOLA COMUNITA’

Le suore delle Poverelle si occupano di una zona delle tre in cui è divisa la parrocchia di Chancay. Ci sono dei sacerdoti solo nel centro più grande, negli altri due a occuparsi dell’evangelizzazione e delle attività abituali delle comunità sono le suore.

«Ci occupiamo – spiega suor Tiziana – della catechesi, della preparazione di genitori, padrini e madrine al battesimo, degli incontri per l’iniziazione cristiana, la prima comunione, e poi c’è la formazione biblica e l’animazione delle Messe, e la celebrazione delle paraliturgie». I sacerdoti non sempre possono essere presenti quando qualcuno nasce, quando qualcuno muore: sono le suore le più vicine alle famiglie e rendono solenni questi momenti con la preghiera, con l’ascolto di una lettura, con un canto e con una benedizione.

«Il popolo peruviano – continua suor Tiziana – è molto religioso e si sente molto l’impronta spagnola. Ci sono grandi processioni, si vestono i santi, ci sono ancora grandi segni esteriori che in altri Paesi più secolarizzati sono andati persi. Certo, anche qui c’è un grande cammino da fare perché religiosità si vede spesso solo nella processione». Ci sono comunque anche molti volontari laici ad aiutare le suore nelle attività della comunità.

C’è molto da fare con aiutare i bambini – spiega suor Tiziana – dobbiamo aiutarli con la lingua perché quella che utilizzano a scuola non è quella che sono abituati a parlare, il quechua. Abbiamo avviato quindi un doposcuola per le famiglie, con la possibilità anche di mangiare una buona merenda. Lo frequentano trenta-trentacinque bambini». A La Candelaria c’è anche un centro che “parla” bergamasco: è stato costruito infatti grazie all’impegno della comunità della Madonna della Castagna  e offre la possibilità di attivare dei progetti di formazione professionale. C’è per esempio un corso per imparare a fare maglioni e pullover con i telai, e ancora corsi di taglio e cucito, di informatica e di cucina.

SOLIDARIETA’ VERA

«Sono tante le persone che le frequentano e che grazie ai corsi poi riescono ad avviare delle piccole attività e a guadagnare ciò che gli serve per vivere. Vivere accanto a loro, con questa semplicità, ci insegna moltissimo e ci arricchisce umanamente. È bello vedere i sorrisi dei bambini, aiutarli a capire dov’è Gesù. È un popolo molto accogliente». E questo nonostante la vita difficile che molti conducono: le donne che vanno nei campi escono alle cinque del mattino e tornano alle 14 per preparare il pranzo per i bambini. C’è poi chi porta i prodotti al mercato, mette dei banchetti e sta lì tutto il giorno per guadagnarsi qualcosa per vivere. Le case sono di mattoni e di sabbia. «Le case non hanno lo stesso valore che gli diamo noi: servono per dormire, per avere un riparo».

Le regole di buon vicinato sono forti: «Se una madre va a lavorare e lascia a casa i bambini le vicine se ne prendono cura, gli danno da mangiare, li accolgono in casa. Quando un bambino si ammala le mamme si alzano alle tre per portarli a Lima e farli visitare».

Le suore danno spesso una mano ai poveri fornendo viveri o medicine: «Seguiamo una quarantina di famiglie, cerchiamo di dargli qualcosa. Ma spesso loro quando tornano dai campi ci portano qualche pomodoro, qualche carota. A modo loro, come possono, ricambiano, cercano di dimostrare gratitudine. È una solidarietà che ci fa bene e ci fa sentire davvero fortunate perché possiamo stare vicino a queste persone e imparare da loro il senso della vita e la speranza».

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