L’ultimo borgo

Esiste la morte. Ecco una notizia originale: nessuno ne parla. Che strano: niente di più sicuro e niente di più taciuto. Ancora una volta, dobbiamo constatare che è difficile parlarne. Non solo perché ci fa paura, ma anche perché, quando vogliamo parlarne, non sappiamo che cosa dire.

Allora, torna utile servirci di quei linguaggi che dicono senza dire, che affermano alludendo. La poesia, per esempio. Questa volta, una poesia di Giorgio Caproni (1912-1990): L’ultimo borgo.

Caproni eccelle nel presentare situazioni banalmente quotidiane – un viaggio, una gita in montagna, una partita di caccia, un incontro… – per farle diventare suggestive parabole di verità “altre”. Così in questa poesia.

L’ultimo borgo

S’erano fermati a un tavolo
d’osteria.
La strada
era stata lunga.
I sassi.
Le crepe dell’asfalto.
I ponti
più d’una volta rotti
o barcollanti.

Avevano
le ossa a pezzi.
E zitti
dalla partenza, cenavano
a fronte bassa, ciascuno
avvolto nella nube vuota
dei suoi pensieri.

Che dire.

Avevano frugato fratte
e sterpeti.
Avevano
fermato gente – chiesto
agli abitanti.

Ovunque
solo tracce elusive
e vaghi indizi – ragguagli
reticenti o comunque
inattendibili.

Ora
sapevano che quello era
l’ultimo borgo.
Un tratto
ancora, poi la frontiera
e l’altra terra: i luoghi
non giurisdizionali.

L’ora
era tra l’ultima rondine
e la príma nottola.
Un’ora
già umida d’erba e quasi
(se ne udiva la frana
giù nel vallone) d’acqua
diroccata e lontana.

Una comitiva è arrivata all’ultimo borgo, appunto, prima di un misterioso confine, oltre il quale ci sono misteriosissimi “luoghi non giurisdizionali”. I viaggiatori prendono una cena, prima di passare oltre. La poesia parla di come è stato il viaggio, di come si è affaticati alla fine, e sa che qualche cosa aspetta i viaggiatori oltre il confine. Ma non si sa che cosa.

I viaggiatori sono sfiniti. Il corpo è stanco, le parole mancano, i pensieri sono vuoti. Restano soltanto i ricordi delle informazioni frammentarie raccolte. Avevano chiesto alla natura (fratte e serpeti) avevano chiesto alla gente. Ma avevano trovato pochissimo e tutto il loro indagare era servito a poco o a nulla.

Ora sanno soltanto che quello che c’è dopo è misterioso: sono luoghi che non rientrano nella loro giurisdizione e sanno, ma l’hanno capito da soli senza aiuti dall’esterno, che lì dove si trovano è l’ultimo borgo.

E’ l’ora di passaggio. Le ultime immagini parlano di umidità, di erba, di acqua diroccata e lontana. Vola l’ultima rondine del giorno e la prima nottola. Ci siamo, si potrebbe dire.

LA FEDE NON CANCELLA LA MORTE

La vita intera e gli altri con tutta la loro ricchezza spesso non ci sanno dire nulla sulla morte. Anzi, spesso, più la vita è piena, più la morte è assente. Quanta gente è ricca, bella, forte, ma manca di questa scienza elementare: la scienza del morire. Quella gente ci può offrire soltanto vaghi indizi, ragguagli reticenti o comunque inattendibili.

La stessa fede se diventa una specie di sapere che serve per cancellare la “scienza del morire”, rischia di essere falsa, una fede-alibi. Per accogliere l’altra vita, bisogna prendere atto che “questa” finisce.

IL TUO PARERE

La morte è un mistero? Fa paura?
È vero che se parla poco? Perché?