Più Gmg, meno Messa

gmg_2Cresce il numero dei giovani lombardi che si dichiarano «non credenti». Allo stesso tempo, però, la percentuale dei «cattolici impegnati» sempre nella stessa fascia d’età, in Lombardia è più alta 10,5 rispetto all8,7% del resto d’Italia. Lo dicono i dati di una ricerca di Odl, gli oratori della Lombardia, che ha fatto tappa anche in alcuni oratori bergamaschi: Villa di Serio, Torre Boldone, Grumello del Monte.

C’è di più: i giovani vanno di meno a Messa. Il 38,9% dichiara di non andarci mai o quasi mai (valore salito in otto anni di cinque punti), mentre all’opposto quelli che ci vanno tutte le domeniche sono passati dal 20,3% del 2004 al 16,6 dell’anno scorso. In compenso, aumentano i ragazzi che si fanno coinvolgere in iniziative diverse, dai pellegrinaggi in luoghi sacri (dal 9,7% qui siamo passati all’11,6%) alle processioni religiose (dal 26 al 29,3%). È un dato interessante da leggere, perché può essere interpretato come un segno di una trasformazione dei bisogni e delle aspettative delle ultime generazioni.

«È vero – sottolinea don Emanuele Poletti – il quadro che emerge dalla ricerca è complesso e mette in luce alcuni punti nel rapporto tra i giovani e la fede, ma nel quadro generale della questione giovanile nel suo complesso. I giovani non si vedono: dove sono? Non è solo un problema delle chiese, degli oratori. Fanno fatica anche a frequentare un cineforum al  cinema».

In questo quadro c’è anche una componente demografica, i giovani sono di meno, la popolazione invecchia. La ricerca mostra fra l’altro che rispetto a generazioni passate «per i giovani di oggi c’è un rischio peggiore: vivere come vagabondi comodi. Mentre per la beat generation e per Kerouac era dura stare sulla strada, non si sapeva dove dormire, dove mangiare, né se si sarebbe mangiato, la generazione di oggi può vagabondare con lo smartphone, con il portatile, con mille canali sul televisore personale… Forse il proliferare di luoghi virtuali ne è un segnale: questi permettono di essere in un luogo, ma non chiedono di prendere posizione rispetto al mondo, non domandano che si imprima una direzione alla propria vita… A volte i giovani hanno una percezione di sé come un navigatore satellitare che non è stato programmato».

La condizione dei giovani di oggi in Italia, che per il 40 per cento sono disoccupati, è difficile: «Il tipo di pensiero che la condizione giovanile sviluppa – dice don Emanuele – non è promettente. Esprime un desiderio di fiducia ma anche il disincanto dalle esperienze della vita. Nel passato partendo da questo senso di fiducia si riusciva ad affrontare meglio le fatiche della vita, oggi è molto più difficile. Oggi non so quanti ragazzi percepiscano il futuro come una possibilità promettente, un tempo verso il quale proiettarsi con impegno per realizzare i propri sogni. Sembra più una minaccia, qualcosa che incombe. Così tutto viene concentrato sul presente, sull’oggi, un momento da vivere intensamente. Studiano, ma si tengono dentro una condizione di precarietà». E aumentano i ragazzi che non studiano e non lavorano.
«La disaffezione verso la dimensione religiosa – spiega don Emanuele – c’è, ma nel quadro di una disaffezione generale verso la politica, la società, le istituzioni. Ma c’è anche una consapevolezza maggiore tra i ragazzi che frequentano le parrocchie e i gruppi: è un passaggio generale che interessa tutta la società, anche gli adulti quello da una frequentazione e un impegno di massa a una fede più scelta. Questo premia anche l’impegno e la cura messa nella pastorale giovanile di questi ultimi anni”.

L’idea dell’impegno e della partecipazione che hanno i giovani è un po’ diversa da quella delle generazioni precedenti: «Si concentrano di meno su aspetti che noi adulti consideriamo essenziali come la Messa domenicale, catechesi, impegno caritativo, impegno nel mondo… I giovani hanno idee diverse: partecipano agli eventi, ai pellegrinaggi, alla Gmg. Per loro ha una forte rilevanza l’aspetto emozionale e intimista. Danno grande importanza anche alle relazioni, all’appartenenza ai gruppi. Occorre trovare dei modi per ricostruire la fiducia nella Chiesa che sotto certi aspetti si è un po’ persa, e tutto riparte dalla costruzione di relazioni».

La terza parte della ricerca mostra come la fede sia pertinente con le esigenze della vita: «La fede non è un optional, è la vita, una vita buona. Su questo si gioca la nostra capacità di essere credibili e di offrire un modello efficace».

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