Papà Zalone

Che ci piaccia o meno, il film di cui si parla in questo momento è “Sole a catinelle” di Checco Zalone. Se ne parla, ovviamente, quasi sempre a sproposito, essendo la maggior parte dei commenti degli “esperti”, dedicati alle analisi degli incassi del film. Partiti, altrettanto ovviamente, ancora prima che il film uscisse quando iniziarono i giochini delle previsioni e le scommesse sul fatto se il nuovo film avrebbe superato o no, il mostruoso incasso (45 milioni di Euro) del suo precedente “Che bella giornata”. Uscito il film, il “dibattito” si è spostato sulla cosiddetta “checcomania” che avrebbe contagiato anche i detrattori della prima ora saliti solo ora sul carro del vincitore, tenendo fede all’assioma dell’indimenticato Ennio Flaiano secondo il quale «gli italiani corrono sempre in soccorso del vincitore».

CAMPIONE AL BOTTEGHINO

I numeri, del resto, sono dalla sua: la corsa del film sembra, per ora, inarrestabile riempiendo ogni sera le sale che lo programmano. Detto tutto questo, il film è un po’ quello che è: cinematograficamente parlando non è certo un capolavoro, però sa cogliere una serie di spunti di attualità trattandoli come si meritano: con lo sberleffo della risata. Del resto, come dice una vecchia massima, «sarà una risata che ci seppellirà». Tralasciando tutto il resto, vorremmo soffermarci un attimo su uno degli snodi narrativi che contraddistinguono il film, quello del rapporto padre figlio, tra il protagonista, Checco (lo stesso Zalone) e il figlio Nicolò (Robert Dancs). Rapporto che, alla maniera tutta zalonesca, viene fotografato già dal manifesto del film che ritrae il padre sulle spalle del figlio. Un ribaltamento non solo narrativo che, per chi abbia visto il film, si traduce semplicemente nel fatto che il figlio è molto, ma molto più maturo e serio del padre. Certo, nell’economia del film, questa cosa contribuisce a confermare la verve comica di Zalone ma forse, più in profondità, ci dice qualche cosa di questi nostri tempi nei quali si sono operati una serie di ribaltamenti generazionali che hanno stravolto l’ordine sociale.

PADRI E FIGLI DI OGGI

Se è vero, per esempio (ed è vero), che sono i nonni (pensionati) che devono contribuire al mantenimento delle famiglie dei figli (che sono rimasti senza lavoro), che il sogno delle generazioni successive che stanno meglio di quelle precedenti, si è infranto contro il muro «della crisi più grave degli ultimi cento anni», del mito di una giovinezza che si protrae ben oltre l’età anagrafica consentita per considerasi tali, allora il personaggio di Checco (nel film) incarna proprio l’epitome dell’eterno adolescente, del papà-amico (certo poi saprà riscattarsi almeno per esigenze di copione), meno maturo (e colto) del figlio. Un fotografia impietosa (per quanto nel film piegata alle esigenze della comicità zaloniana), che può e deve farci riflettere, su come eravamo e cosa siamo diventati.