Extra-comunitari

Usiamo extra-comunitari, questo termine brutto e «scomodo», per una volta, in senso letterale: parliamo degli immigrati che sono «fuori dalle comunità», cattolici che «scappano» dalle nostre parrocchie. Sono oltre centoventimila gli immigrati che vivono a Bergamo: sono suddivisi su tutto il territorio della provincia, naturalmente, ma messi tutti insieme raggiungono numericamente la popolazione del capoluogo, più o meno. Non tutti, ovviamente sono cattolici: anzi, la maggior parte professa altre religioni. Moltissimi però, anche tra i cattolici, alla fine disertano le nostre chiese.
Come mai? Se lo chiede, seriamente, la ricerca della Caritas diocesana Bergamasca e dell’Ufficio Migranti pubblicata nel volume «Alla ricerca del benessere totale – Migranti e nuove forme di associazionismo religioso nella diocesi di Bergamo».
Le nuove chiese, i movimenti religiosi alternativi, sono passati dal 2008 al 2012 da 25 a 52 con un continuo aumento di fedeli. Nelle nostre parrocchie, invece, anche se dati non ce ne sono, la sensazione, con le dovute cautele, non è sempre e dovunque di grande affollamento e i volti stranieri restano una sparuta minoranza. La ricerca si chiede perché e individua alcune piste di riflessione. Gli immigrati intervistati dicono che andare a Messa gli costa fatica perché trovano le nostre chiese «fredde», dicono che non c’è un legame forte tra la celebrazione domenicale e la vita quotidiana, «nelle vostre Messe non c’è gioia». Non trovano la possibilità di costruire reti di solidarietà forti come altrove. Non è che all’interno dei movimenti religiosi alternativi la vita sia tutta rose e fiori, tutt’altro. La ricerca dice anche questo. Ma non è un dato consolatorio, piuttosto un invito a un approfondimento critico e un campanello d’allarme, un invito a sorvegliare su ciò che accade nelle nostre comunità. «Abbiamo cercato di dare risposte ai bisogni primari – dice don Massimo Rizzi – ma non ci siamo interrogati sulla questione religiosa». La cultura del fare, il volontariato, la prossimità concreta qui da noi non mancano: Bergamo, diciamo sempre, ha un cuore grande. Ma lo sguardo degli immigrati, persone di diverse tradizioni e culture che cercano qui da noi di integrarsi, di ritagliarsi uno spazio, proprio perché così «straniero» forse ci può aiutare a vedere cose che noi di solito trascuriamo, chiusi nella nostra routine, nel grosso impegno concreto di tutti i giorni. Cose che in prima battuta, di certo, parlano di loro, dei loro bisogni, dei loro desideri, ma che in fondo riguardano anche noi, il nostro modo di vivere la fede, aspetti che lungo la strada abbiamo un po’ smarrito. È un’occasione per pensarci su.

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