Stranezza evangelica

Un paio di settimane fa, in un teatro della nostra provincia, di fronte a centinaia di persone che partecipavano ad un incontro, il fondatore di Slow Food, Carlìn Petrini ha letto un passaggio della lettera ricevuta da Papa Francesco che merita di essere sottolineato. Premessa: circa un mese prima, Francesco aveva telefonato a Petrini e i due avevano conversato per mezzora, parlando del progetto Terra Madre, di immigrazione e delle comuni radici piemontesi. Fu allora che Carlìn raccontò al Pontefice un episodio della vita di sua nonna, cattolica praticante e vedova di un ferroviere comunista. Dopo la scomunica dei comunisti promulgata da Pio XII nel 1949, la donna fu interpellata dal suo parroco in confessionale: «Mi dica signora, lei per chi vota?». Risposta: «Voto come votava il mio povero marito». «E come votava suo marito?». «Votava comunista». «Quand’è così, lo sa che io non posso dargliela, l’assoluzione?». Senza protervia e con calma, la nonna di Petrini rispose: «Non può darmela?…e allora se la tenga!». Papa Francesco si mostrò molto divertito da questo aneddoto, e fin qui niente di strano, ormai lo conosciamo. Ma poco dopo Carlìn Petrini ha letto in pubblico, per la prima volta, la lettera ricevuta successivamente dal Papa. Molto affettuosa, ricorda la piacevole conversazione e benedice il progetto di Terra Madre, per il quale dice di provare una totale condivisione. Ma a un certo punto, per iscritto, Francesco confida: «Ogni tanto ripenso a quel ‘se la tenga!’ di sua nonna e mi faccio una bella risata».

IL PARADOSSO

E’ uno dei tanti episodi che stanno contrassegnando l’inizio di questo pontificato che certamente sta suscitando grandi attenzioni, se non addirittura entusiasmi, impensabili fino a pochissimo tempo fa, fuori al recinto ecclesiale. E comincia a creare problemi all’interno. Non mi riferisco solamente al numero, crescente, di alcuni credenti che,  sui quotidiani nazionali, segnalano riserve e prese di distanza da parole e azioni di papa Francesco. Basterebbe a questo riguardo dare una scorsa ad alcuni articoli di autorevoli giornalisti del Corriere o del Foglio, il quotidiano di Giuliano Ferrara, sulle cui pagine, non molto tempo fa, un sottotitolo sintetizzava così il senso della presa di posizione contro papa Francesco: «Le sue interviste i suoi gesti sono un campionario di relativismo morale e religioso, l’attenzione del circuito mediatico-ecclesiale va alla persona di Bergoglio e non a Pietro. Il passato è rovesciato».

IL PROFUMO DEL VANGELO

Ma voci critiche, seppure ancora sottotono e paludate, si sentono qua e la anche dentro i nostri ambienti ecclesiali, nelle nostre parrocchie. Mi capita, più di quanto avrei immaginato, sentirmi raccontare da alcuni preti le apparenti “stranezze” di questo Papa: dalle accuse, che vanno per la maggiore, di «non saper celebrare» e di non essere «fine teologo» come papa Benedetto, a quella, ascoltata al termine di un incontro, della «demagogia di una Chiesa povera», fino all’avventatezza di alcune scelte (e tra queste, in particolare, il dialogo con Scalfari).

Insomma, questo Papa – gesuita, non dimentichiamolo! – che mette al primo posto il messaggio della misericordia rispetto all’obbligazione morale, che raccomanda ai vescovi e ai preti di essere pastori accoglienti e non doganieri pastorali, che chiede ai cristiani di aprirsi e di non tenere Gesù prigioniero in sacrestia, che dice, ad alta voce, di desiderare una Chiesa povera e dei poveri,  qualche problema comincia  a porlo. Come il Vangelo, del resto. Quando è preso sul serio.

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