Consumi-democrazia

Gentile direttore,
non vorrei abusare della sua cortesia, ma intendo rispondere ai suoi gentili lettori, a cominciare dall’illustre monsignor Panfilo. Prima di essere crocifisso come falco di un consumismo sfrenato, chiedo l’appello. Qualche suo lettore è andato oltre, guidato dal senso profetico del Vangelo. Ma io, per ristabilire il senso delle proporzioni (siamo pur sempre nel perimetro di una divagazione da cronaca minuta, mica dei massimi sistemi), non ho indicato un modello di società, per carità, e neppure ho elogiato in modo acritico le magnifiche e progressive sorti di un mondo che fu spendaccione. Mi sono limitato a criticare politiche economiche (a mio modesto parere) sbagliate e ho avanzato riserve su un certo modo d’intendere i nostri tempi da parte di alcuni settori del mondo cattolico. Anche in questa occasione, sia pure in piccolo, s’è riproposta in ogni caso la storica questione del rapporto fra cattolici e modernità, che non sempre è andato a beneficio della democrazia: quando si parla di consumi, questi diventano per definizione consumismo selvaggio; quando si parla di soldi, ecco che si finisce subito nel girone infernale del “dio denaro”. Io non ho invocato il consumismo (e con quali soldi?) come orizzonte di vita, ho semplicemente auspicato che si creino le condizioni politiche, economiche e sociali perché torni in modo adeguato il potere d’acquisto dei lavoratori e perché questi possano di nuovo accedere al mercato dei beni prodotti. Domanda: è un’eresia dal punto di vista cattolico? Credo però, dalla lettura di alcuni interventi, che la retorica e l’estetica del buono facciano velo al realismo e finiscano con il produrre un mondo idealizzato e astratto, dove nel frattempo nel mondo reale si sta combattendo una guerra fra poveri. Stiamo con i piedi per terra.

All’inizio del ‘900 Henry Ford, che pure non era un fior di benefattore, aveva aumentato lo stipendio dei suoi dipendenti per un semplice calcolo in cui non c’era nulla di solidale: era soltanto consapevole che qualcuno doveva pur essere messo nelle possibilità di acquistare le macchine che uscivano dai suoi stabilimenti. Anche in questo modo sono nati la società affluente e il ceto medio: benessere di massa e non più elitario. Un primato popolare e interclassista. Possiamo dire tutto il male possibile della società dei consumi, ma, al netto delle necessarie critiche, non possiamo dimenticare un dato che conta: la società dei consumi è stata ed è espressione della diffusione della democrazia e dell’uguaglianza degli stili di vita, altrimenti destinate ad essere un privilegio di censo come nelle vecchie società liberali.

Veniamo al 2013. La Commissione europea intende aprire una procedura d’infrazione nei confronti della Germania, perché il suo surplus commerciale ha superato la quota stabilita. In parole povere, e pur scontando qualche approssimazione, questo vuol dire che la Germania mentre esporta alla grande verso i Paesi emergenti consuma poco e risparmia molto. Nelle attuali condizioni della zona euro, non in un mondo che vorremmo, se la nazione leader consuma meno e risparmia di più significa rendere più poveri gli altri: l’Italia, per esempio. Non sempre il meglio si identifica con il bene e non sempre ciò che è virtuoso (sobrietà e dintorni) ha esiti solidaristici, se non vogliamo chiamarli democratici. Nel nostro caso un’esistenza più sobria è percorsa dal segno dell’egoismo (nazionalismo economico) svincolato dalla solidarietà e colpisce i Paesi più deboli. Anche le migliori intenzioni, specie se sostenute da una sociologia low cost, possono essere messe al servizio di formule sbagliate: mi chiedo quindi se non sia opportuno da parte dei cattolici rimodulare, nell’Europa del 2013, il concetto di solidarietà e di sobrietà, se non vogliamo che persino gli animi nobili lavorino loro malgrado per il re di Prussia. Comunque, caro direttore, possiamo darci appuntamento con i suoi lettori alla prossima primavera, quando con le elezioni europee rischiamo di trovare conferma dell’affermazione dei partiti populisti di ogni risma, risultato di un rigore a senso unico e di una crisi di consumi, cioè di una sobrietà imposta. Saremo anche allora al verde: continueremo a vivere una stagione lontani dallo sterco del diavolo, ma – temo – pure di sobrietà democratica. Nel frattempo mi permetto di consigliare ai teorici della decrescita quattro chiacchiere en amitié con gli operai Fiom messi in mobilità o con qualche esodato. Sarò sempre più che disponibile ad un nuovo confronto con i suoi lettori dopo questo tuffo nel mondo vissuto, là dove ci si sporca le mani con la vil realtà quotidiana. Io ho già dato: mi creda, è roba per stomaci forti.
Grazie ancora.