Francesco Style

Lo stile comunicativo di Papa Francesco così immediato, diretto e spiazzante ha già cambiato l’opinione pubblica verso la Chiesa, smantellando qualche stereotipo e qualche pregiudizio negativo che stava gettando ombre pesanti sull’istituzione e di riflesso anche sui cristiani di oggi. Allo stesso tempo, ci spiega Giovanni Maria Vian, storico della Chiesa e direttore dell’Osservatore Romano, che abbiamo incontrato sabato a Bergamo per presentare la nuova rivista Ioannes XXIII – Annali della Fondazione Giovanni XXIII, a caduta questo “Francesco Style” si sta allargando a macchia d’olio, influenzando con una nuova stagione di apertura i vescovi, i preti, gli stessi fedeli.

Com’è cambiato il modo di comunicare della Chiesa con l’arrivo di Papa Francesco?

«Quella di Papa Francesco è una comunicazione immediata, molto efficace, che passa soprattutto attraverso le prediche di Santa Marta. Un modo di comunicare quasi quotidiano (quattro volte a settimana) che il Papa utilizza per commentare le sacre scritture ma con continui riferimenti all’attualità. E questa cifra comunicativa passa anche negli interventi più consueti per il Papa. Le udienze del mercoledì, l’Angelus. Peccato che non lo faccia con una settimana di anticipo perché dato lo stato delle omelie potrebbe essere di ispirazione. È uno stile che passa attraverso un modo di parlare particolare, che esprime ogni giorno meglio quello che il Papa ha detto la sera stessa dell’elezione, e cioè che i cardinali sono andati a prendere il vescovo di Roma quasi alla fine del mondo. Mai un Papa era arrivato da così lontano. È talmente nuova questa comunicazione che l’Osservatore ha già iniziato un’analisi di come parla José Mario Bergoglio».

Questo cosa comporta per l’Osservatore Romano?

«L’Osservatore è abituato a riferire le opinioni del suo editore. Fino a Paolo VI i testi venivano parafrasati per non impegnare troppo la Santa Sede, poi hanno incominciato ad essere riportati in forma diretta. Anche Giovanni Paolo II celebrava quasi ogni giorno ma senza interventi che fossero così di sostanza. Questo Papa invece ha voluto una forma semipubblica anche se le omelie non vengono trascritte integralmente, per ovvi motivi la comunicazione scritta e orale è differente».

Papa Francesco dà l’impressione di tenere saldamente in mano, in prima persona, la propria strategia di comunicazione.

«È un metodo che fa tesoro dell’esperienza dei suoi predecessori, perché in realtà i travisamenti nella comunicazione spesso erano pilotati. Si è visto con grandissima chiarezza nel viaggio in Africa di Benedetto XVI quando una frase del Papa in cui egli utilizzava la parola “preservativo” venne ritorta contro di lui e contro la Chiesa. In realtà la comunicazione di Papa Ratzinger era altrettanto efficace ma doveva scontare l’immagine che da quasi trent’anni aveva appiccicata addosso di “grande inquisitore” che non corrispondeva alla realtà. Anzi, è capace di una chiarezza e di una precisione straordinaria. Un esempio è il modo in cui prese il toro degli abusi per le corna durante un viaggio negli Stati Uniti, dicendo che si vergognava di questa situazione ed era addolorato per gesti che stravolgevano la natura del sacerdozio cattolico. Papa Francesco ha detto di aver fatto proprio il consiglio di un nunzio di incontrare i giornalisti dopo un viaggio e non prima. Lui in realtà li incontra anche prima, per creare un contatto diretto: molti li conosce personalmente, anche a Rio de Janeiro incontrava spesso i giornalisti senza rilasciare interviste. Ma alla Gmg di Rio de Janeiro per esempio solo alla fine ha concesso un’intervista collettiva molto schietta e aperta durata un’ora e mezza, durante la quale ha toccato tutti i temi importanti. Poi c’è stata l’intervista con Antonio Spadaro per tutte le riviste dei gesuiti del mondo, che è stata però un incontro personale, un’esperienza spirituale. Così è stato l’incontro con Scalfari, poi raccontato con grande efficacia sul giornale. Questo dimostra come per il Papa sia importante il rapporto a tu per tu, nell’ottica della direzione spirituale tipica dei gesuiti».

L’opinione pubblica nei confronti della Chiesa è cambiata?

«Nettamente. Quella precomprensione negativa che era anche artefatta è venuta meno, e di questo non si può non rallegrarsi. Questo modo di aprirsi, poi, a caduta, sta avendo degli effetti anche sui modi di fare dei vescovi, dei preti e degli stessi fedeli. Questo stile di “amicizia” con il mondo era già stato caratteristico di altri pontefici e in modo molto accentuato dello stesso Papa Roncalli, che oggi sono qui a ricordare, e di Paolo VI».

Qualcuno ha anche accostato Papa Francesco a Papa Giovanni.

«È sempre interessante questo gioco di accostamento dei Papi. Papa Francesco ricorda per certi versi addirittura Pio IX e Pio X. Con lui torna un po’ ad essere quotidiano il contatto che c’era prima, nei tempi dell’antico regime con Papi che erano anche sovrani temporali, detto senza alcuna nostalgia, c’era un rapporto quotidiano che dopo il 1870 si è interrotto per forza di cose, supplito da Pio IX che circolava per Roma tranquillamente, da Pio X che invita le parrocchie in Vaticano, con Pio XI incominciano i pellegrinaggi. Anche Papa Francesco guida incontri interminabili, per esempio con l’Unitalsi ha fatto un breve intervento iniziale ma poi è sceso dal palco e ha salutato tutti i presenti uno per uno».

C’è più attenzione per le chiese locali nella comunicazione di Bergoglio?

«È un’esigenza presente nell’esperienza Argentina di Bergoglio, da arcivescovo di Buenos Aires ha molto curato la comunicazione soprattutto televisiva, attraverso Canale 21, rete della diocesi che da arcivescovo ha voluto sviluppare cosciente che molta informazione passa da questo canale. La comunicazione sta cambiando rapidamente, ci sono anche i social media, interessante che su Twitter il Papa sia tra i personaggi più attivi e credo anche il più ritwittato. La Santa Sede ha fatto passi da gigante in questo settore, anche l’Osservatore Romano si può scaricare ogni pomeriggio in versione integrale in pdf dal portale del Vaticano».