Allarme famiglie

Dopo la Grecia col suo 34,6% di persone a rischio di povertà ed esclusione sociale, l’Italia è al secondo posto tra i “malati” d’Europa col 29,9%. Al terzo c’è la Spagna col 28,2%. Da noi sono ben 18,2 i milioni di persone che potrebbero scivolare nell’indigenza, pur in presenza di una discreta dotazione di trasferimenti sociali. I dati di altri Paesi sono diversi: l’Olanda è al 15%, la Finlandia al 17,2% e così buona parte di quelli del nord Europa, decisamente meglio piazzati. Dopo l’Italia, invece, vengono Croazia col 32,3%, la Lettonia (36,5%), Romania (41,7%) e Bulgaria (49,3%). Per riflettere su queste statistiche il Sir ha intervistato Francesco Belletti, presidente del Forum delle associazioni familiari.
I dati diffusi oggi da Inps ed Eurostat sono allarmanti: oltre 7 milioni di pensionati percepiscono una pensione al di sotto dei 1000 euro al mese, di loro un terzo addirittura al di sotto dei 500 euro. E per le famiglie il potere di acquisto tra il 2008 e il 2012 è crollato del 9,4%, col risultato che il 29,9% della popolazione è a rischio povertà. Come valutare queste cifre?
“Intanto emerge il concetto di vulnerabilità delle famiglie, che non sono di per sé un luogo fragile, ma oggi si trovano esposte a grandissime criticità. Il contesto sociale minaccia la tenuta della famiglia, soprattutto dal punto di vista economico. Il grande impoverimento dei redditi a seguito della crisi è un segnale molto preoccupante. Un altro paradosso è che la nostra spesa sociale è troppo spostata sulla previdenza, ma nonostante questo abbiamo milioni di anziani che non arrivano a fine mese. Passiamo tanto, troppo tempo a discutere di decadenza di parlamentari e di legge elettorale, mentre è tempo di scelte radicali di politica economica, perché la casa sta bruciando. Occorre dire con forza che è giunto il momento di spostare davvero le priorità di questo Paese. Bisogna restituire potere di acquisto alle famiglie, questo il punto centrale da perseguire”.
La crisi costringe pressoché tutti a “tirare la cinghia”. È sufficiente volgersi alla antica virtù della parsimonia per mandare avanti una famiglia media oggi?
“Purtroppo bisogna dire che questa virtù, che tale rimane, non è più sufficiente. È vero che gli stili di vita e di consumo devono essere ripensati un po’ da parte di tutti. In fondo sono le famiglie che hanno spinto sui consumi superflui, il mercato che oggi ‘tiene’ è quello dei beni tecnologici, con l’ultima versione i-phone, dell’i-pad o del tablet; ma i dati sulla povertà che vengono riproposti dicono che qui non si tratta di recuperare la sobrietà ma piuttosto di costruire livelli economici di sostenibilità. Sul piano politico, bisognerebbe spostare miliardi di euro a sostegno delle famiglie in difficoltà e di quelle con figli che sono le maggiormente esposte alla vulnerabilità”.
Tra le novità del nuovo Isee, c’è quella positiva dell’aumento di “peso” per i figli a carico, ma c’è anche quella negativa che chi possiede una casa alza il proprio standard. Il risultato è paradossale: le famiglie che nei decenni hanno fatto sacrifici per comprare una casa, invece di essere premiate come “virtuose”, alla fine vengono penalizzate in quanto considerate “ricche”. Che commento fare?
“Sì, è proprio così. Il tema è veramente grave e occorrerà verificarne l’impatto confrontando i dati dell’anno scorso con i risultati del nuovo Isee. Sarebbe veramente pesante constatare che il semplice fatto di avere una casa comporti per una famiglia media con figli di essere “buttata fuori” dall’accesso ai servizi cui invece avrebbe avuto diritto. Dall’altra parte il peso dei carichi familiari è tutto da verificare. Quindi la nostra proposta è che a questo punto si debba applicarlo, ma sperimentandolo seriamente e fra un anno con dati certi verificarne l’impatto reale che avrà avuto sulle famiglie. Debbo aggiungere che nel lungo dibattito in vista del varo, nessuno ha potuto discutere una simulazione di impatto economico, quindi la richiesta di essere coinvolte come associazioni di monitoraggio sociale e familiare è ancora più urgente da parte nostra”.
Il peso degli ammortizzatori sociali è cresciuto negli ultimi anni in maniera rilevante. Li hanno percepiti, tra cassa integrazione, mobilità, indennità di disoccupazione oltre 4 milioni di lavoratori. Tra di loro è pensabile che una buona maggioranza abbia famiglia. Come vivere con tali indennità pur preziose, che tuttavia rappresentano una quota ridotta dello stipendio?
“Di fatto la scelta degli ammortizzatori sociali era obbligata quando la crisi picchia duro su famiglie e imprese. Però non possiamo sempre giocare in difesa. Gli ammortizzatori infatti non danno speranza e prospettiva. È tempo di investire in maniera diversa sui giovani e su possibili nuove forme di occupazione. Bisogna contrattare con la Unione europea strumenti innovativi, bisogna restituire speranza ai lavoratori e ai giovani. Al mondo politico dico che bisogna rivedere dove e come investire, abbandonando una logica difensiva e dai parametri troppo rigidi. Servirebbe una decisa stretta sulla spesa pubblica da un lato e un alleggerimento fiscale dall’altro. Ma dubito che le attuali rappresentanze politiche siano in grado di muoversi con decisione e a fondo in questa direzione”.