Ecumenismo qui

«Nell’estate del 1910, nella capitale scozzese si incontrarono oltre mille missionari, appartenenti a diversi rami del Protestantesimo e dell’Anglicanesimo, a cui si unì un ospite ortodosso, per riflettere insieme sulla necessità di giungere all’unità per annunciare credibilmente il Vangelo di Gesù Cristo. (…) Ad un secolo di distanza dall’evento di Edimburgo, l’intuizione di quei coraggiosi precursori è ancora attualissima». Con queste parole Benedetto XVI, tre anni fa, fece memoria dell’evento a cui si vuole ricondurre l’inizio del movimento ecumenico: la Conferenza mondiale missionaria di Edimburgo. Un avvenimento – a cui i cattolici non presero parte perché non invitati – capace di rendere pubblico un cammino sotterraneo preesistente che, attraverso la riscoperta della centralità della Parola, il dialogo e il confronto, scuoteva le radici autoreferenziali delle diverse chiese e ricordava loro che la verità dell’annuncio non poteva prescindere dal prendere sul serio l’impegno di Gesù ad essere “uno”.

Eppure, nel corso della storia, il termine unità ha voluto dire anche ben altro. Annessione, omologazione, a volte perfino repressione. Paiono anni luce (qualcuno ha già persino rimosso il tutto) ma sono solo meno di quindici anni che ci separano dalla purificazione della memoria che ha portato Giovanni Paolo II a chiedere scusa per la pretesa che, come cattolici, abbiamo talvolta avuto di liquidare il dissenso e azzerare movimenti e opinioni. L’ecumenismo, oggi come ieri, ha anzitutto il compito di convertire l’unità cristiana, facendola transitare dal modello imperiale a quello ecclesiale, da una unità uniforme ad una unità multiforme. Compito dell’ecumenismo è realizzare l’unità senza perdere la diversità. «Unità della Chiesa nella diversità delle sue appartenenze», la chiamava Oscar Cullman.

UN CALEIDOSCOPIO DI CHIESE CRISTIANE

Celebriamo in questi giorni la settimana per l’unità dei cristiani in un mondo, il nostro, profondamente cambiato. Sotto la spinta delle migrazioni, uomini e donne di fedi diverse vivono e abitano nei nostri paesi. L’immigrazione ha cambiato la geografia religiosa del nostro Paese. Tra i circa 5 milioni di immigrati, in rappresentanza di duecento nazionalità, i cristiani ortodossi sono una presenza numerica compresa tra 1.300.000 e 1.450.000 fedeli, poco meno dei musulmani, stimati tra il milione e mezzo e il 1 milione e 600 mila. La provenienza dei fedeli ortodossi è anzitutto dalla Romania, cui segue l’Ucraina, la Moldovia, la Serbia e il Montenegro. In continua crescita sono anche i cristiani pentecostali o evangelicali che provengono, in modo particolare, dall’Africa, Nigeria e Ghana in primis.

Gli immigrati cristiani rappresentano quasi la metà del totale e i musulmani (spesso, impropriamente ritenuti la realtà religiosa più numerosa del nostro paese) ammontano a circa un terzo, mentre le grandi religioni orientali coprono quasi il 5%. La loro presenza pone di fronte, inevitabilmente, ad un confronto e dialogo ecumenico che non è più delegato agli addetti ai lavori ma mette in gioco le pratiche di vita quotidiane di molti di noi. Val la pena ripeterlo: l’immigrazione di oggi è un segno di tempi anche per le rinnovate possibilità di dialogo ecumenico e interreligioso che generano nel quotidiano dentro le nostre comunità e città.

ECUMENISMO NECESSARIO

Tutto questo anche nella nostra terra bergamasca che ancora si autocomprende come cattolica e non sempre ha la percezione dei profondi cambiamenti avvenuti.

Per questa ragione un paio di anni fa le ACLI di Bergamo hanno promosso e pubblicato la ricerca “Migranti cristiani sotto il cielo di Bergamo”. Un lavoro certosino – raccolto in un testo distribuito ai parroci e agli amministratori – fatto di decine di incontri con immigrati cristiani che ha portato allo scoperto una realtà, vivacissima, di uomini e donne che, ogni domenica e spesso anche lungo la settimana, si trovano a pregare, a confrontarsi con la Parola, a dar vita a momenti di socialità e di aggregazione. Cattolici, ortodossi, anglicani, riformati, evangelici, copti e una miriade di gruppi e sette protestanti. Comunità che stanno ai margini, spesso non riconosciute da quanti condividono – seppure con modalità e articolazioni diverse – la stessa fede nel Dio di Gesù Cristo. La ricerca presenta i tratti caratteristici di ogni comunità, i tempi dei culti e delle preghiere, le feste più importanti, i recapiti dei leader religiosi: una mappa preziosa, una fotografia – parziale e limitata – che ha l’obiettivo di attivare una “strategia dell’attenzione” che renda tutti, ma in particolare le nostre comunità ecclesiali, capaci di cogliere sempre più il fenomeno immigratorio come “evento” che interpella il cammino ordinario della pastorale. E per questo capaci di dare nome, volto e parola a tante donne e uomini che condividono la stessa fede nel Dio di Gesù Cristo. E’ in gioco – dicono le ACLI di Bergamo – la nostra umanità ed anche la nostra stessa fede. Che, in realtà, sono davvero la stessa cosa. Perché non si è ecumenici per moda o strategie ma perché ce lo ha chiesto il Signore. Matta el Meskin, il grande monaco copto scomparso qualche anno fa, amava ricordare spesso che più i cristiani sono fedeli al Vangelo, più facilmente s’incontrano e trovano unità e comunione.

Fedeltà al Vangelo e contaminazione tra gli uomini. Me lo ha ricordato recentemente in un’intervista in preparazione all’incontro europeo di Strasburgo, frère Alois, il priore di Taizé: «Tutti i messaggi sono importanti, ma l’avvenire dell’ecumenismo è imparare che apparteniamo sempre di più gli uni agli altri».

Serve per essere cristiani. Serve per essere uomini.

IL TUO PARERE

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