Ragazzi cattivi

In quale comunità, oratorio, scuola non esistono i cosiddetti “ragazzi difficili”? Ragazzi all’apparenza incontenibili, disadattati e turbolenti che non perdono mai occasione per mettersi in mostra dando sfogo ai loro istinti più selvaggi. Qui, a Bergamo, ne abbiamo avuto un esempio qualche giorno fa, quando l’oratorio di Boccaleone è stato messo a soqquadro da un gruppo di “vandali” che hanno costretto don Giuseppe Rossi, suo malgrado, a fare marcia indietro e a chiudere l’oratorio per una settimana di riflessione.
Oggi più che mai sembra che i nostri quartieri siano tenuti sotto scacco da questi “bulli”, come si è soliti chiamarli, che seminano il panico tra i loro coetanei e non solo. Eppure «non esistono ragazzi cattivi» ci dice don Claudio Burgio, ospite e testimone d’eccezione per una sera all’oratorio di Longuelo. Don Claudio è fondatore e presidente dell’associazione Kayròs che dal 2000 gestisce diverse comunità di accoglienza per minori. È inoltre cappellano dell’Istituto penale minorile “C. Beccaria” di Milano. Insomma, uno che coi giovani ci sa fare. «Il Beccaria è un’ estrema ratio – racconta -. Quando la famiglia, la scuola, i servizi sociali non bastano il Beccaria diventa l’ultima spiaggia per questi ragazzi a rischio. Ma è anche un punto di partenza. La definisco epoché – usando una parola greca – che significa “sospensione del giudizio”: fermiamoci, ragioniamo insieme e cerchiamo di capire quello che è successo, cosa è andato storto».
Detto così sembra facile ma chi ha un minimo di esperienza nel campo sa quanto sia difficile interagire con questi ragazzi, quanto talvolta possano risultare apatici e chiusi nel momento del confronto. «Bisogna entrare in contatto con loro, interagirci ma non con atteggiamenti repressivi e giudicanti bensì ponendoti come loro pari, ponendoti in ascolto come “umano”, esattamente come loro. Solo così saranno in grado di consegnarsi». Bisogna entrare nell’ottica che, per questi ragazzi, la vita è fondata sul “niente”: nessuna autorità, nessuna regola. Contano solo loro e le loro voglie.
Ma da dove viene questa logica narcisista? Secondo don Claudio «siamo passati da una famiglia normativa (forse troppo), quella del padre padrone, delle regole ferree e dei castighi, a una famiglia affettiva dove non c’è più il senso del limite». I ragazzi non sono più in grado di affrontare le difficoltà in modo autonomo perché… “Hai preso un brutto voto? Non ti preoccupare, ci parlo io con l’insegnante! Non giochi titolare nella squadra? Ci parlo io con l’allenatore! Hai litigato con i tuoi amici? Ci parlo io con loro”.
La più ovvia delle conseguenze è che questi ragazzi entrano nell’ottica che “la vita è facile”, tutti mi devono comprendere, nulla è proibito. Non sono più in grado di assumersi le loro responsabilità e perché dovrebbero? Da queste fragilità iniziali approdano ad un analfabetismo affettivo: rispondono solo ed esclusivamente al loro istinto e non sanno riconoscere e dare voce a sentimenti più profondi. «Ogni ragazzo ha bisogno di sapere che c’è qualcuno che crede nelle sue capacità positive, nelle sue potenzialità di bene e l’educatore deve dare spazi di senso accessibili alla loro curiosità, deve aprire loro mente e cuore» è il suggerimento di don Claudio, ma, per rendere efficace un serio intervento educativo, è necessario creare collaborazione tra la famiglia, la scuola, l’oratorio, i servizi sociali. Un lavoro di squadra.