Corpi estranei

Un padre disperato o, forse, solo spaventato, la solitudine di fronte alla malattia che diventa solitudine e impotenza di fronte all’ignoto. La rabbia sorda di chi si sente senza scampo: tutto questo racchiude il corpo di Antonio (uno straordinario Filippo Timi) protagonista del film di Mirko Locatelli “I corpi estranei” in programmazione questa sera, venerdì 11, sabato 12 e domenica 13, all’Auditorium di piazza della Libertà presentato a cura di Lab 80.
Antonio è partito dall’Umbria con il piccolo figlio Pietro che deve essere operato per una grave malattia. Solo, in una città dell’Italia del Nord, con il suo carico di ansia e di disperazione, Antonio vive chiuso nel proprio dolore. Cerca, dentro di sé, le ragioni della speranza ma alla mente gli salgono solo brandelli di preghiere imparate da bambino ma che, impastate di rabbia, si trasformano in invettive. È duro, Antonio, è chiuso nel suo dolore e non accetta il contato con nessuno, meno che meno con il giovane Jaber un ragazzo di origine araba che viene all’ospedale per trovare un amico. Un film sulla malattia, quindi? Per il regista Mirko Locatelli che da anni vive su una carrozzina a seguito di un incidente e che si è occupato molto dei temi della disabilità, questo non è il solo tema del film: «Questo è un film in cui la malattia – ci ha detto – diventa un pretesto per raccontare la storia del cambiamento di questo padre che è Filippo Timi, che era il miglior attore che potevamo immaginarci per quel ruolo e che è diventato l’emblema della fragilità e della difficoltà ad accettare “l’altro” in generale. Il film sposta l’attenzione dalla malattia a un tema più alto che è quello della fragilità umana, dell’incapacità di comunicare e di accettare l’altro e la diversità anche culturale».
A proposito del titolo, il regista ci spiega che: «La parola più importante è corpi, perché corpi è una parola che può assumere un peso diverso a seconda di cosa stiamo parlando: corpi che entrano in relazione e in contatto ma anche perché aleggia lo spettro della possibilità di un corpo che perda la vita. E poi c’è il corpo di Jaber, il giovane arabo che ha raggiunto l’Italia per cercare un futuro migliore, corpi che stanno fuori contesto, fuori dal loro territorio che cercano di attaccarsi alla vita per trovare una soluzione. Estranei proprio perché è un film sull’estraneità dei luoghi e quindi sul fatto di essere un po’ tutti stranieri e quindi estranei: non solo Jaber è uno straniero, anche Antonio che arriva dal Sud è a suo modo in un paese straniero perché non sei mai a casa se sei lontano da casa tua. Antonio vive sulla sua pelle una piccola migrazione anche se non sa accettare l’altro che è Jaber».
«Siamo voluti partire – conclude il regista – da due parole chiave: dignità e pudore. La dignità di Antonio, eroe silenzioso, lontano dalla famiglia per proteggere suo figlio e quella di Jaber. Il pudore, poi: quello che in fase di scrittura avevamo voluto appartenesse ai nostri personaggi, e con cui poi ho voluto raccontarli, come fossero protagonisti di un documentario, per  tutelare i loro corpi, i loro sentimenti, i loro rapporti, quando si scrutano, si odiano, si aiutano o stanno fermi ad aspettare nella speranza che qualcosa, attorno a loro, possa cambiare».