Tentorio-Gori

Un candidato forte (Franco Tentorio) per un centrodestra più debole, una new entry da misurare (Giorgio Gori) per un centrosinistra diventato più forte. Possiamo anche metterla così, al netto di qualche approssimazione: il giudizio positivo sull’attuale sindaco, sull’uomo e sul veterano dell’amministrazione, supera quello più modesto della sua coalizione, mentre resta da verificare se il manager sia un valore aggiunto rispetto ai partiti e alle liste di centrosinistra. Da un lato un tranquillo signore che, cresciuto per l’anagrafe al tempo dei filosofi (il Sessantotto), è a suo agio, per vocazione professionale, nell’era del rigore contabile. Dall’altro un cinquantenne postmoderno, format da smart city e neoambientalismo, che ha faticato non poco per rendere compatibile il proprio status e la propria biografia con la sensibilità della sua parte politica. E’ all’interno di queste asimmetrie che, secondo noi, si gioca la partita per il sindaco di Bergamo.

BERLUSCONISMO IN DISCESA E RENZISMO IN ASCESA

L’election day del 25 maggio (amministrative più europee) rende però estremamente politica l’elezione del sindaco, perché il ciclo di governo nazionale non è mai indifferente per le scelte in periferia, soprattutto in una stagione in cui il declinante berlusconismo sta lasciando il passo ad un affluente renzismo. Velocità, voglia di cambiare, nuovo e nuovismo, tendenza al giovanilismo, discontinuità senza guardare in faccia a nessuno, riformismo sul tamburo: piaccia o meno, sono queste le parole d’ordine in un clima in cui c’è il ritorno della politica dopo la parentesi dei tecnici. Per questo, più di ieri quando Tentorio nel 2009 vinse al primo turno contro Roberto Bruni anche per l’effetto Berlusconi, la cifra politica potrebbe risultare dominante: una sorta di referendum su Renzi, che oscura il dato tecnico del voto locale. La domanda allora è questa: Bergamo, città moderata se non conservatrice, si sente più rappresentata da un modello per così dire tradizionale o è disponibile a cambiare verso? In sostanza: continuità o strappo? Tentorio e Gori, per tempra e storia personale, sono coerenti con queste due alternative.

TENTORIO, L’ULTIMO DEI DOROTEI

L’offerta politica del centrodestra è tutta giocata sulla continuità nella convinzione (scontata) che l’amministrazione Tentorio abbia svolto un buon lavoro pur nei vincoli imposti dal Patto di stabilità, là dove per il centrosinistra questa “continuità” copre una bassa progettualità e una stagnazione programmatica. C’è nella sensibilità umorale del centrodestra una logica difensiva, eppure prossima alle paure dell’opinione pubblica. E’ la “forza tranquilla” del conservatorismo classico espresso da Tentorio, uomo della destra sociale (e lui l’accento lo mette più sull’aggettivo che sul sostantivo) ma per carattere l’ultimo dei dorotei, che si riconosce nel senso comune e popolare: prima di cambiare qualcosa pensiamoci due volte e facciamo un passo alla volta per non disturbare più di tanto. Si tratta di tonalità di costume sociale, ancor prima che politiche, che nella lunga recessione intercettano una richiesta di protezione aliena dagli scossoni, che sale dal basso e soprattutto dai quartieri, zone in cui l’attuale sindaco gode di un certo consenso. Il suo slogan («Fidati di chi conosci») e il suo motivo conduttore («Non ho alzato le tasse, ho garantito i servizi») hanno il timbro della tutela e del realismo, che non farà sognare (i sogni, precisa, sono per il secondo tempo se ci sarà) ma che non ha neppure toccato il portafogli.

GORI, PIÙ CENTRALE CHE CENTRISTA

Gori, viceversa, marca lo scarto perché il suo campo da gioco è il cambiamento come strumento e come fine: anche in chiave tecnocratica, senza però esagerare. Su questo punto, che potrebbe essere decisivo, quello che fa la differenza, alcuni settori del centrodestra prendono sottogamba l’effetto novità del renzismo che sta spostando il conflitto politico dalla coppia destra-sinistra a quella conservazione-innovazione. Poi certo, come abbiamo detto, resta da vedere quanto di questo impatto si rovesci sulla realtà bergamasca in cui lo zoccolo duro del leghismo mantiene una sua presa e, per le sue posizioni anti euro, può costituire un imbarazzante compagno di strada per Tentorio. Ma in questo scorcio del 2014 il Pd di Renzi più che una posizione centrista interpreta una posizione centrale nella società che rimette in circolo le aspettative del nuovo ceto medio produttivo e una cultura liberal piuttosto mobile sul piano ideologico: nella pancia della società italiana, compresa quella bergamasca, stanno avvenendo radicali trasformazioni socio-economiche e posizioni ormai datate (berlusconismo e leghismo) non maneggiano più i codici culturali adeguati per leggerle e renderle riconoscibili sul mercato politico.

DUE STILI DIVERSI

L’altro aspetto che balza all’occhio è la distanza che separa l’approccio comunicativo di Tentorio e Gori alla campagna elettorale. Il primo, almeno finora, si mantiene su uno sfondo istituzionale: misura gli interventi, occupa gli spazi solo irrinunciabili e lascia parlare la sua squadra. Non c’è in questo la presunzione dell’autosufficienza, piuttosto la consapevolezza istituzionale di non debordare oltre il vantaggio competitivo che gli deriva dall’essere primo cittadino. Gori, invece, unisce presenzialismo e iperattivismo e peraltro in questi giorni sta dettando l’agenda dei temi costringendo gli avversari a inseguirlo. Due posizioni molto diverse, perché sono all’antitesi le prospettive dei due candidati. Quella di maggio non è la battaglia della vita (politica) di Tentorio, semmai lo è stata quella contro Bruni: quando l’ex missino, il pupillo di Mirko Tremaglia, l’esponente moderato di un partito a lungo fuori dell’arco costituzionale, conquistò un riconoscimento equivalente ad una gratificazione umana e personale. Per Gori, le prossime amministrative sono l’incontro decisivo con il destino e non conta più di tanto il fatto che, per l’età, possa avere altre occasioni. Per lui è un appuntamento irrinunciabile, del tipo “ora o mai più”, pianificato e inseguito da tempo, ma nel quadro di condizioni favorevoli e irripetibili: il Pd, dopo un iniziale sbandamento, non si è sostanzialmente diviso, non gli ha creato ostacoli e gli ha dato il lasciapassare. La tenuta del candidato del centrosinistra riposa anche in un partito che c’è, che sente il vento dalla sua parte e nel collateralismo delle varie associazioni. Con un interrogativo finale non proprio a margine: di Tentorio sappiamo tutto, di Gori non ancora.