Da Redona al Villaggio degli Sposi: anche le parrocchie si mobilitano

Da Redona al Villaggio degli sposi: anche le parrocchie si mobilitano. Dal progetto «Tempo Lavoro» del Patronato San Vincenzo, sono infatti nati due sportelli nei quartieri di Redona e del Villaggio degli Sposi, attivi da quattro anni, sempre rivolti ai cosiddetti «neet» (Not in education, employment or training), giovani fra i 15 e i 29 anni che non lavorano, non studiano, né (apparentemente) hanno intenzione di farlo.
«Non si volevano perdere le prospettive individuate – spiega don Patrizio Moioli, che dopo l’esperienza al Patronato è ora parroco al Villaggio degli Sposi – e in questo modo la comunità cristiana e l’oratorio hanno effettuato una presa in carico reale del bisogno dei ragazzi». Gli sportelli del Villaggio e di Redona, aperti rispettivamente al martedì e al venerdì mattina, servono proprio ad aiutare i «neet» della parrocchia a riacquistare la fiducia in loro stessi e a non perdere la speranza, attraverso una rete di collegamenti per inserirli nel mondo del lavoro: «Bisogna rimotivarli: i miracoli non si fanno, ma molti giovani che sono passati di qui sono maturati attraverso quest’esperienza: hanno acquisito competenze per il loro curriculum e si sono messi in gioco». Non senza difficoltà: «Ci vuole una pazienza infinita – prosegue don Moioli -, bisogna continuare a rimotivare, a convincere, non solo i ragazzi, ma anche i datori di lavoro. In questo modo si riaccende una speranza, insegniamo loro che è importante non chiudere mai la porta, che ci sono sempre altre possibilità». Agli sportelli, a conferma di come la comunità si sia fatta carico della problematica, operano dei volontari. Giancarlo Cattaneo, 59 anni, del Villaggio degli Sposi, ha cominciato il suo volontariato nell’agosto 2012: «L’oratorio proponeva diversi progetti – spiega -, ma ho scelto questo perché era quello in cui al momento c’era più bisogno; inoltre, essendo appena andato in pensione pensavo di poter facilitare l’aggancio al mondo del lavoro». La prima esperienza non è andata esattamente a buon fine: «Non sono mai riuscito ad inserire questo ragazzo in uno stage – racconta -: aveva una repulsione per qualunque tipo di attività. In generale questi giovani vedono tutto negativo, non riescono a percepire le occasioni che invece possono nascere. Spesso lo stage viene visto più come uno sfruttamento che un’opportunità. Si insiste, si cerca di far vedere loro le cose da un’altra prospettiva, di farli appassionare».
A volte basta cambiare il campo di azione per ottenere dei risultati: «Avevamo inserito un ragazzo in uno stage in ambito meccanico, ma abbiamo dovuto sospendere il tutto perché si presentava un giorno sì e uno no. Poi dopo un po’ di tempo si è rifatto vivo: lo abbiamo inserito in uno stage in ambito culinario e lì ha invece avuto elogi da parte della ditta. Purtroppo terminato lo stage non vi erano possibilità di inserimento, se non a chiamata. Ma il ragazzo ha cominciato ad essere più stabile, a impegnarsi di più».
Le problematiche di solito sono le stesse, scarsa motivazione e poca voglia di mettersi in gioco: «Ricordo una ragazza che aveva studiato all’alberghiera, a cui avevamo proposto l’esperienza in un bar: non l’ha voluta nemmeno prendere in considerazione per la lontananza. Purtroppo – conclude – vedo che c’è poca applicazione sia da parte dei ragazzi, che da parte delle aziende, che hanno difficoltà anche solo per gli stage». Una difficoltà aumentata da quando, grazie alla riforma Fornero, gli stage devono essere retribuiti: in Lombardia sui 300/400 euro al mese. «È faticoso – racconta Ilaria, volontaria allo sportello di Redona da ottobre 2010 -: i ragazzi vengono con la speranza di poter trovare qualcosa, ma non sempre riusciamo a soddisfarli, anche per le difficoltà che le aziende stanno incontrando negli ultimi tempi. Vediamo la sofferenza di questi giovani che vogliono conquistare l’indipendenza e che a volte hanno anche alle spalle situazioni familiari pesanti». Diverse le esperienze in questi anni: «Ricordo un ragazzo di 17 anni – racconta -, a cui avevamo proposto più stage, diversificando i settori, ma aveva difficoltà a mantenere gli orari di lavoro, ad assumersi delle responsabilità. Un caso opposto invece riguarda un ragazzo di 17 anni, che aveva già lavorato ai mercati ortofrutticoli e non voleva restare a casa con le mani in mano. Per sei mesi ha affiancato un imbianchino, con cui ha instaurato un rapporto di fiducia. Finito lo stage questa persona non aveva la possibilità di assumerlo, ma gli ha proposto di aprire la partita iva per poter ancora collaborare con lui. In questo caso il ragazzo ha dimostrato una buona volontà». Tra chi si rivolge allo sportello, anche chi, terminato un certo percorso di studi, si rende conto che non è esattamente l’ambito che fa per sé: «Una ragazza – prosegue Ilaria – aveva terminato gli studi in ambito tecnico commerciale, ma era poco convinta. Ha svolto poi uno stage in ambito culinario, venendo assunta dalla ditta ed ora è ritornata sui banchi di scuola con un nuovo obiettivo».