La riforma della Costituzione: Senato e altro. Perplessità

Si è molto discusso sulle riforme costituzionali, del Senato in particolare. Abbiamo chiesto a Filippo Pizzolato, esperto costituzionalista, di “fare il punto” della situazione. Vengono messi in rilievo l’importanza della discussione in atto ma anche le sue molte e significative incertezze. 

In questa estate tiene banco la revisione della Costituzione. Il clima è acceso, invero più nella classe politica che tra i cittadini e già questo non è un buon segno.

NO AL BICAMERALISMO. SÌ MA

Confesso che non riesco a togliermi di dosso un senso di profonda diffidenza verso questo processo di revisione costituzionale. Può essere lo spirito “conservatore” che anima molti costituzionalisti e cittadini e che nasce dall’attaccamento sincero per una Carta spesso criticata da aspiranti riformisti che magari non l’hanno neppure letta o che mai ne hanno provato un’attuazione integrale… So anche che la difesa della Costituzione rischia, involontariamente, di fare l’interesse di posizioni più prosaiche, cui può essere funzionale la conservazione dell’esistente. Mi riferisco, in questo caso, al senso di attaccamento alla poltrona dei senatori… Spesso i fronti del “pro” e del “contra” sono articolati e plurali. Io comunque non ho scranno da difendere…

Perché questa diffidenza (e resistenza)? La ragione non sta principalmente nei contenuti della riforma. Nel recente passato abbiamo visto e sentito annunciare progetti assai più dirompenti che ogni tanto si affacciano ancora minacciosi sulla scena. Il presidenzialismo, ad esempio, che è proposto al di fuori di una solida cultura dei contropoteri lo troverei assai pericoloso rispetto alla trama della Costituzione, ma in questo progetto non c’è. In questo progetto si affrontano nodi attorno a cui esiste la possibilità di cambiare, restando nello spirito della Costituzione. Il bicameralismo è uno di questi, visto che già in Assemblea Costituente la soluzione scaturita, nella forma indifferenziata che conosciamo, è stata adottata quasi fosse una soluzione di ripiego, rispetto a disegni più innovatori e coerenti con la stessa architettura dei principi costituzionali che non avevano però trovato il necessario consenso (o forse coraggio). La proposta in discussione si propone un obiettivo ragionevole, quello di differenziare il principio rappresentativo delle due camere e le relative funzioni. In linea con un’evoluzione di tipo federale, si vuole fare del Senato la camera delle autonomie territoriali. L’obiettivo, in sé considerato, è meglio conseguibile con un Senato non direttamente elettivo, ma espresso dagli enti (Regioni e comuni) di cui deve essere espressione politica. Se il Senato fosse eletto direttamente dai cittadini, infatti, prevarrebbe negli eletti la fedeltà (centripeta) ai partiti rispetto alla lealtà verso le istituzioni di cui i senatori dovrebbero essere espressione. Penso dunque che sia meglio riservare toni allarmati e allarmistici ad altre situazioni, che temo non mancheranno nel futuro, così come ci sono state nel recente passato.

INCERTEZZE

Ciò nondimeno le perplessità ci sono e investono questioni rilevanti di metodo e di “contesto”. Le elenco rapidamente, per punti.

1: il ruolo del Governo nel processo. Potrà apparire una doglianza pretestuosa, ma che la riscrittura di parti della Costituzione avvenga sotto ricatto e dettatura della maggioranza al Governo è condizione che fa a pugni con la storia e con lo spirito del costituzionalismo, che del potere è tenace avversario.

2: questo Parlamento è stato eletto con una legge elettorale (il “porcellum”) che la Corte costituzionale ha giudicato illegittimamente distorsivo della rappresentatività. La stessa Corte costituzionale ci ha ricordato che al Parlamento sono affidati compiti di garanzia, tra cui la revisione costituzionale, proprio in forza della sua rappresentatività. Ergo: un Parlamento eletto con una legge elettorale distorsiva, pur legittimato a compiere le ordinarie funzioni, dovrebbe astenersi da – o, tutt’al più, procedere con estrema prudenza con – l’esercizio delle funzioni di garanzia, specie se non sono indifferibili…

3: lo spirito di semplificazione. La “cifra” complessiva che anima il progetto (e, quel che è peggio, ne spiega anche un certo consenso popolare) è la semplificazione del disegno istituzionale. Concettualmente, la rappresentanza politica mira a rendere presente l’assente e cioè, in democrazia, ad assicurare rilevanza politica anche a interessi che non possono direttamente prendere voce. A me pare che in questo caso, anziché tentare di rivitalizzare o arricchire i canali di rappresentazione, obiettivamente sclerotizzati, se ne cerchi – soprattutto tramite la legge elettorale – una riduzione. Questo, del resto, reclama l’umore generale. Probabilmente i cittadini preferirebbero far sparire del tutto la seconda camera; o comunque, la vorrebbero fortemente dimagrita, ma pur sempre elettiva… Non mi pare proprio che il consenso popolare sia legato all’idea di un Senato in cui parlino rappresentanti di enti, soprattutto le Regioni, la cui classe politica è altrettanto squalificata, agli occhi dei cittadini arrabbiati, quanto quella nazionale. A me pare che il vero e inconfessabile obiettivo sia quello di portare davanti all’elettorato furente una specie di “scalpo” del Senato…

4: la contraddittorietà del disegno. Si procede verso un assetto federale del Parlamento nel contesto di una riforma che, nel suo insieme, contraddice lo spirito del federalismo, tanto che, in altre parti, persegue, sotto il segno della semplificazione, il ri-accentramento delle competenze legislative a danno delle Regioni;

5: la pretesa molesta della “velocità” e di voler dettare tempi stretti per la revisione costituzionale. Il ritornello “va bene discutere, ma poi bisogna decidere” funziona come pretesto per screditare posizioni di dissenso e ghigliottinare proposte alternative, magari potenzialmente migliorative. La mia sensazione è che si interpreti la riforma costituzionale come una riforma tra le altre, da gettare in pasto all’opinione pubblica ormai insofferente per accreditare l’ottica di un Governo del “fare presto”… Da molti si sente ripetere, come una solfa, a proposito del giovane Presidente del Consiglio: “almeno fa qualcosa…”. Non mi pare questa una gran dimostrazione di senso critico e, ancor meno, un criterio valido con cui valutare le decisioni di rilievo costituzionale. La velocità, , anziché applicarsi alle ricette per il rilancio dell’economia, alla difesa del lavoro e dei redditi bassi, è impropriamente esercitata su un campo – la Costituzione – in cui la lentezza e la ponderazione sono virtù… Forse perché è più facile? Forse perché serve a coprire l’inconcludenza o l’obiettiva difficoltà in altri ambiti? Viene il dubbio…

6. l’interlocuzione privilegiata con Berlusconi. Si sa che Berlusconi è il leader riconosciuto ancora da molti elettori e parlamentari. E tuttavia, al di là delle simpatie o antipatie politiche (e a tacere delle condanne giudiziarie…), Berlusconi esprime una cultura che si colloca esattamente agli antipodi rispetto ai principi del costituzionalismo che è – lo ripeto – nella sua essenza una tecnica di limitazione del potere. Vero è che raramente uno può scegliersi l’interlocutore, ma è anche vero che, data la qualità dello stesso, può decidere se sia prudente o meno imbarcarsi in un progetto ambizioso come la revisione costituzionale…

7. l’accoppiamento con la legge elettorale. I contenuti di questa riforma della Costituzione, in sé non certo eversivi, rischiano di produrre un effetto dirompente se accoppiati con l’approvazione della legge elettorale (l’Italicum) di cui si discute in questi stessi giorni. Qua davvero i contenuti sono inaccettabili, quanto a soglie di sbarramento, premi di maggioranza ed elusione delle preferenze… Si danza irresponsabilmente sul filo dell’incostituzionalità.

8: la natura del consenso popolare. La mia netta impressione è che il consenso che Renzi sta ottenendo non stia tanto nel merito in sé del progetto di revisione costituzione sostenuto, ma dipenda strettamente dal carisma della sua persona cui, perpetuando vizio antico, di nuovo ci si affida in attesa messianica. La Costituzione è un patto plurale. Quando la sua sorte si lega a quella di un condottiero, essa diventa un improprio strumento di consolidamento del potere…