Il selfie. Non solo moda

Non so se il selfie sia materia per la teologia, come ha sostenuto giorni fa Giovanni Cominelli sul Santalessandro; certamente, come tutte le mode, è interessante per capire l’epoca in cui viviamo.

La parola dice tutto: selfie richiama subito alla mente espressioni come self-service o self-made-man, comunque l’idea di qualcosa o qualcuno fatto da sé, senza bisogno dell’apporto altrui. Chi scatta è al tempo stesso chi viene immortalato, e il tutto si risolve in un circuito autoreferenziale. In questo senso il selfie è paradigma e metafora di un mondo in cui si impongono sempre più l’individualismo e l’egocentrismo, le relazioni tendono a rarefarsi e la società si presenta sempre più sfaldata sotto aspetti diversi, da quello dei legami familiari a quello dei rapporti sociali.

Prima del selfie capitava spesso di chiedere ad un perfetto sconosciuto, a un passante per caso, di improvvisarsi per un momento fotografo: ne nascevano magari una breve conversazione, uno scambio di parole, un rapido confronto di pareri. Con il selfie viene meno questa possibilità di contatto umano, alla quale peraltro hanno già inferto un colpo mortale le varie tecnologie dell’ultim’ora (dai tablet in giù).

Parlando di selfie, però, ci si ferma di solito a quanto accade dietro l’obiettivo: non si guarda al di là della macchina. Le foto prodotte dai selfie sono invece molto eloquenti: solitamente il soggetto è solo, al massimo compaiono due persone; rari sono gruppi più numerosi, rarissimi gli sfondi, i paesaggi, le cornici. È forse un caso che il selfie nasca e si diffonda nella società in cui le idee, le visioni, le posizioni tendono a farsi sempre più minimaliste e personali? Ci sono mille verità private e mutevoli, ognuno reclama il diritto di autodeterminarsi a proprio piacimento. Nella civiltà che manca di quella che i filosofi tedeschi chiamerebbero Weltanshauung (“visione del mondo”), anche il fotografo si adegua: guardo me stesso, il mio mondo, e tutto il resto è noia, una variabile secondaria, un accidente privo di importanza e di significato rispetto alla sostanza, cioè Io. La visione globale si dissolve e si annulla in quella particolare. Eviterei di spendere parole per il narcisismo e la vanità, malattie croniche dell’umanità che non possono essere addebitate al selfie, semmai veicolo particolarmente adatto ad alimentarle, rendendole contagiose.

C’è solo da sperare che il selfie non sia specchio perfetto del nostro mondo: le foto auto-scattate non hanno prospettiva.