Papa Francesco parte per la Corea del Sud. In viaggio pensando al futuro dell’Asia

«Come primissima impressione credo che Papa Francesco incontrerà una nazione che ha una grande voglia di crescita sociale, economica, morale e spirituale. Un Paese che mi sembra che da tempo guarda all’Occidente, Italia compresa, con grande attenzione. Un Paese in crescita specialmente sul versante industriale, ma che vive ancora con la grande ferita della divisione della penisola coreana tra Nord e Sud per motivi prettamente politici – tra gli ultimi regimi comunista al Nord e una Repubblica presidenziale al Sud – che dopo la II Guerra Mondiale portò a uno dei più sanguinosi conflitti dell’area coreana con milioni di morti da ambo le parti. Una ferita ancora aperta per tutti i coreani ma che non ha impedito alla Repubblica coreana di guardare nell’ultimo mezzo secolo con crescente interesse anche all’Italia, dove – tanto per fare un esempio per me tra i più significativi – ormai sono decine e decine i giovani che studiano arte e soprattutto musica nei nostri conservatori. Un bellissimo esempio d’integrazione tra la nostra cultura e gli amici coreani».
A poche ore dall’inizio del terzo viaggio apostolico che porterà Bergoglio in Corea del Sud (13-18 agosto), Orazio La Rocca, dal 1988 vaticanista di Repubblica, spiega le motivazioni profonde di questa visita del Santo Padre in Asia, continente nel quale Benedetto XVI «non ha avuto tempo di andare». Il giornalista, classe 1950, una grande conoscenza delle tematiche religiose e delle sfide che deve affrontare la Chiesa moderna, definisce Papa Jorge Mario Bergoglio come «un Papa veramente amato da tutti, credenti e non credenti, cattolici e non cattolici, laici, miscredenti e atei. Un Papa di tutti di cui la Chiesa aveva tanto bisogno e che non stancherà di sorprenderci. Anche dalla lontana Corea del Sud».

Quali saranno i momenti principali del terzo viaggio apostolico del Pontefice?
«Per Papa Francesco saranno quattro intensissimi giorni di contatti, prolusioni, omelie, incontri pubblici e privati, tra i quali spicca l’udienza che concederà ai superstiti della tragedia del traghetto coreano nell’aprile scorso, quando affondando oltre 400 persone morirono. Ma il momento più importante sarà la partecipazione del Santo Padre alla VI Giornata della Gioventù Asiatica (Ayd) che si terrà a Daejeon, in Corea del Sud, dal 13 al 17 agosto, dove Francesco non sarà accolto dalle folle oceaniche di giovani cui finora i pontefici – da Papa Wojtyla a Papa Ratzinger fino a Francesco – erano stati abituati. A Daejeon si prevede una piccolissima presenza di circa 2000 giovani in rappresentanza delle comunità cattoliche asiatiche, Corea del Nord esclusa dove la locale Chiesa Patriottica Coreana, legata al regime comunista e non riconosciuta dalla Santa Sede, non invierà nessun rappresentante ufficiale. In programma anche una visita nella capitale, Seul e la beatificazione dei 124 martiri coreani uccisi in odio alla fede tra il 1791 e il 1888. Grande attesa anche per gli incontri con le autorità e per i discorsi che in queste occasioni farà il Pontefice, dal quale non è escluso che possano arrivare nuovi incessanti appelli contro il perdurare della separazione della penisola coreana. In totale saranno 12 gli interventi pubblici che Bergoglio farà nella quattro giorni coreana».

Qual è il volto del cattolicesimo in Corea del Sud?
«La Chiesa cattolica della Corea del Sud ha una storia molto particolare, oserei dire originalissima perché ha iniziato a muovere i primi passi tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento del secolo scorso. Ma spontaneamente, in maniera autonoma, sulla base di iniziative di laici intellettuali che avevano contatti con l’Occidente e, di conseguenza, con una religione, il cristianesimo, per loro nuova che predicava l’uguaglianza tra tutti gli uomini, il perdono, la misericordia, la pace. Per arrivare a una prima organizzazione ecclesiale strutturata, e riconosciuta dal Vaticano, occorrerà però arrivare agli inizi degli anni Cinquanta con la nascita della Conferenza episcopale della Corea del Sud e, conseguentemente, con la creazione di una gerarchia locale episcopale in comunione col Papa. Attualmente i cattolici della Corea del Sud sono circa 5 milioni, il 10 per cento su una popolazione di circa 50 milioni di persone. Le parrocchie 1700 circa. Ogni anno i nuovi battezzati sono oltre 100 mila. Non poco, anche se la Chiesa Coreana vive non pochi travagli al suo interno come ammette monsignor Peter U-ill Kang, vescovo di Cheju e presidente della Conferenza episcopale coreana, che parla di divisioni nel clero coreano tra i sostenitori di posizioni considerate più “progressiste” e posizioni “conservatrici”. A suo parere non si tratta tanto di divisioni dottrinali, quanto piuttosto di due diverse “visioni” del ruolo Chiesa: una che la vorrebbe più presente sui temi sociali, sull’esempio del cardinale Kim durante gli anni della dittatura; l’altra che invece ritiene che questo non sia suo compito. Secondo alcuni, è solito spiegare il presule, la visita del Papa potrebbe essere un’occasione per rilanciare il tema delle disparità e ingiustizie sociali che penalizzano soprattutto i giovani in Sud Corea, alla luce della dottrina sociale della Chiesa che è poco conosciuta dai fedeli».

La Chiesa coreana è la prima Chiesa asiatica ad accogliere il Santo Padre. Tramite questo grande evento la Chiesa coreana diventerà la porta verso l’evangelizzazione in Asia?
«La Chiesa sudcoreana ha già accolto Giovanni Paolo II in uno dei suoi più lunghi viaggi internazionali, dal 6 al 16 ottobre del 1986, quando visitò anche Timor Est e le isole Mauritius. Da non dimenticare, inoltre, la partecipazione di Papa Wojtyla alla Giornata della Gioventù a Manila, nelle Filippine, quando radunò intorno a sé circa 4 milioni di giovani. Un record. Seul, quindi, riceverà per la seconda volta un Pontefice ma da qui a dire che possa diventare la porta per l’evangelizzazione dell’Asia ce ne corre. In futuro si vedrà ma se al Papa di Roma ancora oggi è in pratica “vietato” visitare Paesi come Russia o Cina, parlare di evangelizzazione dell’intera Asia è perlomeno prematuro e forse avventato».

I cattolici coreani e la chiesa locale sono pronti ad accettare la sfida della nuova evangelizzazione che corre anche sul web?
«Credo proprio di sì. Il web ormai è diventato lo strumento di comunicazione per eccellenza di giovani e meno giovani, e la Corea del Sud nell’area asiatica è sicuramente all’avanguardia. Inevitabile quindi che anche il web possa diventare uno dei veicoli privilegiati per la diffusione della Parola evangelica e della Dottrina sociale della Chiesa cattolica. Ma se parliamo di “nuova evangelizzazione”, va tenuto presente che si tratta di un programma di rilancio della fede voluto da grandi papi come Wojtyla e Ratzinger per far ritrovare soprattutto all’Occidente, dall’Europa, le strade perdute della fede cristiana».

«In occasione del Cinquantesimo anniversario delle relazioni diplomatiche con la Repubblica di Corea, vorrei implorare da Dio il dono della riconciliazione nella penisola, con l’auspicio che, per il bene di tutto il popolo coreano, le Parti interessate non si stanchino di cercare punti d’incontro e possibili soluzioni». Così si era espresso Papa Francesco nel discorso d’inizio anno ai diplomatici accreditati presso la Santa Sede. Un viaggio questo non solo apostolico ma anche politico?
«Il Papa non fa mai politica nel senso classico del termine. Con tutto il rispetto della politica e di chi la fa. Il Papa è un pastore, fa il pastore, il padre, vicino al suo gregge di circa un miliardo e 300 milioni di cattolici ma anche a quanti sono lontani dalla fede cristiana. Lo fa specialmente papa Francesco in stretta continuità con i suoi ultimi due predecessori, Giovanni Paolo II, che lui stesso ha santificato il 27 aprile scorso insieme a Giovanni XXIII, e Benedetto XVI, con richiami al bene comune, appelli contro guerre e ingiustizie sociali, richiami in difesa dei lavoratori, del mondo del lavoro, dei disoccupati, dei poveri, di immigrati, ultimi e senza fissa dimora. Tutto nel nome di Dio e di Gesù Cristo. Se difendere i poveri, condannare le guerre, stare vicini alle istanze dei giovani, promuovere la dignità del lavoro significa fare politica, allora sì, il Papa a suo modo fa politica ma non per cercare facili consensi o effimere poltrone. In Corea del Sud è probabile, come ha anticipato il suo portavoce padre Federico Lombardi, Papa Francesco si appellerà a tutti gli uomini di buona volontà per la cancellazione del confine che ancora separa dolorosamente la penisola coreana. Qualcuno potrà dire che si tratterà di un intervento politico. Fa niente. Francesco si farà semplicemente portavoce delle sofferenze di tutti i coreani, senza sposare nessuna opzione politica»

È notizia ufficiale che il Santo Padre si recherà nello Sri Lanka dal 12 al 15 gennaio e di seguito nelle Filippine dal 15 al 19 gennaio. Diventa realtà “più che una speranza” del vescovo di Mannar, monsignor Rayappu Joseph, mentre sarà il quarto viaggio di un Papa nelle Filippine. Ce ne vuole parlare?
«È un’altra prova che Papa Francesco, il Papa “venuto dalla fine del mondo” come lui stesso si autodefinì la sera dell’elezione del 13 marzo dello scorso anno, guarda sempre con crescente interesse alle Chiese lontane, magari a quelle che vivono sotto la minaccia di terroristi islamici o tra le persecuzioni di regimi dittatoriali che soffocano le istanze di libertà e di uguaglianza delle comunità cristiane. Quanto al quarto viaggio di un papa nelle Filippine, va ricordato che questo paese è l’unica nazione a maggioranza cattolica di tutta l’area asiatica. Un paese che proprio per la sua fede cattolica da tempo ormai è costantemente preso di mira da attacchi terroristici di matrice islamica. Normale quindi che Francesco la segua con grandissima attenzione».

«Con la guerra si perde tutto. Medio Oriente, Ucraina e Iraq: fermatevi!». È stato l’appello del Pontefice. Vittorio Zucconi in un articolo su Repubblica ha parlato di “vuoto occidentale”, cioè dell’indifferenza del resto del mondo e l’ammissione esplicita d’impotenza nei confronti di due popoli divisi dall’odio a causa di una reciproca follia estremista. Che cosa ne pensa?
«Penso tutto il male possibile per chi alimenta ed è causa di tanta reciproca follia estremista. Ma non posso non pensare ai mercanti di morte, ai costruttori e venditori di armi (Italia compresa…) che prosperano ogni qual volta esplode un nuovo conflitto. “Tutto è perduto con la guerra”, gridò alla vigilia del primo conflitto mondiale papa Benedetto XV. Non fu ascoltato.  “Tutto è perduto con la guerra” ribadì inutilmente Pio XII per scongiurare la seconda guerra mondiale. Sappiamo tutti come andò a finire. Analoghi appelli sono stati lanciati da tutti i papi del Novecento e del Terzo Millennio, ma con scarsissimi successi. Solo Papa Francesco con la veglia di preghiera dello scorso anno convinse le grandi potenze a non intervenire in Siria. Ma qui la guerra continua ancora, ed è notizia di questi giorni che, dopo il rapimento di padre Dall’Oglio, la stessa sorte è toccata a due volontarie italiane. E tutto questo con i paesi occidentali incapaci di intervenire. Ha ragione Vittorio Zucconi a parlare di “vuoto occidentale”».

«L’unica via per uscire dalla spirale della violenza e della distruzione è quella di affrontare la questione di fondo, cioè l’occupazione israeliana dei Territori palestinesi. Ci sarà pace e sicurezza solo quando Israele riconoscerà la libertà e la sovranità dello Stato palestinese», ha dichiarato Mons. Michel Sabbah. Concorda con l’opinione del Patriarca latino emerito di Gerusalemme?
«Condivido l’opinione di monsignor Sabbah, che è stato il primo patriarca latino della Terra Santa nominato da Papa Wojtyla. Ma mi permetto di aggiungere che forse il problema palestinese si risolverà completamente solo quando ci saranno due Stati indipendenti per due popoli, quello israeliano e quello palestinese, e che la sicurezza sarà un bene sia per palestinesi sia per israeliani. L’odio, gli attentati, i kamikaze islamici e quant’altro di orribile sono causa di morte tra civili e militari non portano da nessuna parte. Mi ferisce ricordare che subito dopo la storica preghiera per la pace in Terra Santa promossa da papa Francesco in Vaticano il 27 aprile scorso con i presidenti palestinese Abu Mazen e israeliano Shimon Perez furono rapiti e uccisi tre giovanissimi israeliani da militanti di Hamas, braccio armato del terrorismo palestinese, episodio che ha, di fatto, avviato la nuova guerra di Gaza che ha già causato la morte di oltre 2 mila palestinesi e centinaia di israeliani. Chi vuole veramente la pace nella Terra di Gesù?».

«Papa Francesco ha rivolto un appello alla comunità internazionale “affinché si adoperi per proteggere quanti sono interessati e minacciati dalla violenza e per assicurare gli aiuti necessari e protezione”. Il 15 agosto la Cei ha indetto una giornata di preghiera per i cristiani perseguitati e uccisi a causa della propria fede. La Conferenza episcopale italiana in un appello ha accusato l’Europa di essere “distratta e indifferente, cieca e muta davanti alle persecuzioni di cui oggi sono vittime centinaia di migliaia di cristiani” in Cina, in Nigeria, in Pakistan, in Corea del Nord e soprattutto in Iraq. Cosa sta accadendo?
«L’Iraq è un paese in disfacimento. Frutto avvelenato degli anni della dittatura di Saddam Hussein. E a soffrire di più sono le comunità cristiane cacciate dalle loro case da bande armate sunnite che intendono così, attraverso una pulizia etnica a danno in particolare di chi segue la fede in Cristo come i caldei, imporre con la forza i cosiddetti califfati all’insegna di un islam imposto con morte e distruzione. Con l’Occidente che, dopo mesi e mesi di apparente distacco, ora interviene con i bombardamenti degli aerei americani masenza nessuna prospettiva di pace in tempi ravvicinati. Risultato, moderni esodi biblici con oltre 100 mila cristiani in fuga, morti ammazzati (solo domenica 10 agosto scorso sono stati uccisi oltre 500 yazidi tra cui tanti bambini), donne violentate, conversioni forzate all’islam. Papa Francesco, l’unica voce internazionale che da mesi chiede ai potenti della terra di non abbandonare al loro destino i cristiani iracheni, ha inviato in Iraq un suo rappresentante, il cardinale Fernando Filoni, per coordinare aiuti e interventi per aiutare la popolazione civile, e domenica prossima in tutte le chiese cattoliche del mondo si pregherà per la pace in Iraq, quella pace che – però – difficilmente arriverà in tempi brevi. Per cui torno a chiedermi: chi arma i terroristi anticristiani? Chi prospera con il commercio delle armi in Iraq, ma anche in Terra Santa, Libia, Siria, Pakistan e in tutti quei paesi vittime di guerre ed eccidi a danno di popolazioni inermi, soprattutto donne e bambini? L’Occidente, a partire dall’Italia e dalla civilissima Europa, non ha proprio niente da dire in proposito?».

Lampedusa, Calabria, Molise, Caserta con la visione dall’alto della Terra dei Fuochi. «È terribile che una terra così bella sia rovinata» ha detto Bergoglio riferendosi agli sversamenti dei rifiuti. Prosegue il viaggio del Santo Padre nell’Italia in difficoltà e che soffre. È in atto per la Chiesa una vera e propria emergenza che riguarda il nostro Paese?
«In pochi mesi, stando a quanto riferito da autorevoli giornalisti di cultura laica come Eugenio Scalfari e Corrado Augias, Papa Francesco è diventato un punto di riferimento di credenti e non credenti. Anche di politici. In questa veste Bergoglio, come guarda le Chiese lontane, sente l’urgenza di aiutare il nostro Paese a passare un momento tanto difficile a causa di una crisi economica e morale che non accenna a diminuire. Da qui i viaggi, non in grandi città, ma in quei luoghi della sofferenza e del dolore come Lampedusa, Calabria, Molise, Caserta ma anche Sardegna, dove ha parlato del diritto al lavoro con una preghiera rivolta a Gesù. Papa Francesco sta “smuovendo” anche la Chiesa e l’episcopato italiano dove per la prima volta ha nominato segretario generale della Conferenza episcopale il vescovo della più piccola diocesi del nostro Paese, monsignor Galantino. Una scelta non casuale, come non per niente formale è stata la scomunica rilanciata a tutti i mafiosi e a quanti vivono nell’illegalità. Sì, l’Italia tutta, non solo la Chiesa italiana, oggi ha bisogno di un pastore come Papa Francesco».

Uno stile di vita all’insegna della sobrietà, pensiamo alle foto del Papa che regge il vassoio del self service o la borsa da viaggio spartana, grandi riforme già avviate e altre da fare al più presto. Come stanno cambiando le tradizioni secolari vaticane con la cura Bergoglio?
«In poco più di un anno di pontificato, Papa Francesco ha già fatto tanto per il rinnovo delle strutture della Santa Sede, dallo Ior, la banca vaticana, alla gestione delle finanze e dei beni immobiliari con l’istituzione di una super Segreteria per gli affari economici presieduta da un cardinale manager di spiccate e riconosciute qualità organizzative, l’australiano George Pell. Ma per cambiare definitivamente le tradizioni secolari vaticane ci vuole ancora tanto tempo. Quasi duemila anni di storia non si cambiano tanto facilmente. Ma non vanno comunque sottovalutati i grandi e piccoli gesti spontanei compiuti da Bergoglio, dalla scelta di vivere in comunità nell’Ospizio di Santa Marta rinunziando al mega appartamento papale del Palazzo Apostolico. Ricordiamo anche il pagamento della stanza che aveva occupato alla Casa del Clero di via dello Scrofa prima dell’elezione papale; la rinunzia alla croce pettorale d’oro, preferendo indossare la croce di ferro che portava da vescovo a Buenos Aires. Come non mettere in evidenza anche la scelta di viaggiare in macchine “normali”, senza ricorrere ad auto blu o a quattro ruote eccessivamente lussuose; la rinunzia ad andare in vacanza… piccole, grandi scelte che hanno fatto di Jorge Mario Bergoglio un Papa veramente amato da tutti, credenti e non credenti, cattolici e non cattolici, laici, miscredenti e atei. Un Papa di tutti di cui la Chiesa aveva tanto bisogno e che non stancherà di sorprenderci. Anche dalla lontana Corea del Sud».