“Ma voi chi dite che io sia?”. La fede in terra straniera

Foto: scavi archeologici a Cesarea di Filippo

In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti»… (Vedi Vangelo di Matteo 16, 13-20. Per leggere i testi liturgici di domenica 24 agosto, ventunesima del tempo ordinario “A”, clicca qui)

Gesù e i suoi amici stanno passando dalle parti di Cesarea di Filippo. È una città che si trova al nord, al confine della Galilea. Viene chiamata così perché costruita da Erode Filippo, il sovrano locale, “tetrarca”, figlio di Erode il grande (quello del Natale e della strage degli innocenti) e fratello di Erode Antipa (quello che condannerà Gesù), in onore dell’imperatore Cesare Augusto. Autodefinendosi “Figlio dell’uomo”, Gesù anticipa già, nella sua domanda, la risposta giusta. Ma la risposta giusta non è pacificamente accolta da tutti e quindi Gesù sente la necessità di chiedere comunque che cosa si dice realmente di lui.

CHE COSA SI DICE DEL FIGLIO DELL’UOMO?

In alcuni ambienti si pensa che l’arrivo del Messia verrebbe anticipato da un ritorno di Elia, il grande profeta, rapito in cielo su un carro di fuoco, come si racconta nel secondo libro dei Re. E quindi alcuni pensano che Gesù sia Elia che è tornato. Altri pensano che Gesù sia Geremia, il campione di Israele in tempi di crisi, oppure pensano che sia Giovanni Battista, ucciso da Erode e tornato in vita. Ma Gesù non si accontenta di che cosa dicono gli altri e passa a chiedere che cosa pensano loro, gli amici. Pietro risponde con un’affermazione di fede che si trova solo qui, in questa forma piena e che si affermerà nei discepoli, soltanto dopo la risurrezione di Gesù: «Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente». A causa di quella risposta, Gesù dichiara beato Pietro perché le sue semplici forze di uomo (la “carne” e il “sangue”) non possono avergli rivelato quella verità, ma Dio stesso.Vengono in mente facilmente le parole che Gesù aveva detto poco prima nello stesso vangelo di Matteo: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11, 25s).

Proprio perché destinatario di una eccezionale rivelazione divina, Pietro diventerà la roccia su cui poggerà la Chiesa, l’assemblea degli amici del Signore. Gli ebrei, infatti, parlavano di Israele come dell’”assemblea di Dio.” Adesso Gesù parla semplicemente e audacemente della “mia Chiesa”. Gesù, dunque, si mette sullo stesso piano di Dio: Pietro e gli altri apostoli sono la nuova assemblea di Dio, la Chiesa radunata da Gesù. Contro di essa le forze del male non potranno nulla. Pietro avrà dunque un compito molto importante, tanto che perfino il suo nome cambia, come succede quando Dio manda un profeta per una missione di particolare importanza. Gesù consegnerà a Pietro le chiavi del Regno dei cieli. Le chiavi permettono di entrare, sono il segno di un potere. Avendo in mano le chiavi del Regno, ciò che Pietro fa in terra, Dio lo sancisce in cielo. La Chiesa, l’assemblea degli amici del Signore, è davvero la manifestazione di Dio in mezzo agli uomini. Ma molti, troppi si aspettavano un Messia potente, politico, vincitore. Per questo Gesù proibisce di dire che lui è il Messia perché questo avrebbe potuto scatenare quelle attese ambigue.

LA DOMANDA IN TERRA PAGANA

Gesù è ancora in una zona che, in qualche modo, segnala una presenza straniera. È una città fatta ricostruire da un capo politico ammiratore del sovrano straniero, l’imperatore di Roma. La questione Gesù sorge, dunque, in una terra che sembra non avere nessun rapporto con lui. Questi particolari ci interessano. Noi siamo tutti, in qualche modo, gente “straniera” e la nostra città è terra di confine. Eppure anche qui nasce la domanda su Gesù. Molta gente che incontriamo non crede, crede solo un poco ma spesso è lì che nasce la domanda: ma chi è questo Gesù? Non dovremmo commettere l’errore, noi credenti convinti, di fronte alle incertezze di chi non crede o crede poco, di rifiutare il poco solo perché non è tutto. Gesù chiede soltanto che, di fronte alla fede incerta, si affermi la fede certa, che anche in terra straniera si dichiari che egli è il Figlio dell’uomo.

La questione di Gesù è molto più importante della questione di Dio. Molta gente oggi, o crede a un Dio che se ne sta lontano (l’Islam vede così Dio), oppure crede a un Gesù che è semplicemente un grande uomo. Tutte e due le posizioni sono molto facili. Invece riconoscere Gesù come il Cristo, il Figlio del Dio vivente, significa non soltanto riconoscere Dio, ma riconoscere anche che questo Dio mi parla attraverso il Figlio, uomo come me. Molte volte si sente dire: “Credo che esiste qualcuno, o qualcosa…”. È una forma di fede, certo. Ma è poco ed è, soprattutto, poco impegnativo, perché a un Dio senza volto posso dare il volto che mi piace. Un Dio così è vago, lontano, non inquieta. Invece un Dio che mi parla umanamente e che mi dice: Tu cosa pensi di me, è un Dio che ha preso posizione verso di me e quindi chiede a me di prendere posizione verso di lui. Mi chiede di mettermi in gioco.