Da applausi la Misericordia di Lucilla Giagnoni: femminile, teatrale, civile

«La Misericordia, da virtù della santità a valore di convivenza della società civile» era il titolo, in apparenza non troppo popolare, del monologo di Lucilla Giagnoni per la festa di Sant’Alessandro, organizzata quest’anno in partnership dal Comune con la diocesi e con la consulenza artistica di Maria Grazia Panigada, con forme e contenuti nuovi.

Novità accolte con entusiasmo, si è visto bene la sera della festa di Sant’Alessandro: c’erano un migliaio di persone in Duomo a seguire lo spettacolo, quante la chiesa poteva contenerne, e anche di più. Gli spettatori non sono stati delusi: è stata una performance carica di emozione e di energia, in crescendo, salutata da applausi a scena aperta.

L’attrice ha tracciato un percorso che fin dalle intenzioni doveva attraversare il territorio sacro e quello civile, intessendo una rete che abbraccia la vita, così come imponeva lo stesso luogo scelto per lo spettacolo: «In piazza Duomo – ha detto la Giagnoni – c’è il Palazzo della Ragione, uno dei più antichi d’Italia, c’è questa cattedrale, c’è la basilica di Santa Maria Maggiore, che da oltre settecento anni è consegnata alla cura di un’opera pia cittadina che guarda caso si chiama Misericordia». Il suo racconto è partito dalle beatitudini, “belle leggi”, per radicarsi nelle virtù. «Ma che cosa sono poi mai, ha detto Lucilla, se oggi dovessi raccontarle a mia figlia adolescente, che ama i supereroi come X Man e Capitan America? Sono come i superpoteri, se le sfrondiamo dall’aspetto un po’ antico delle parole, se andiamo a scoprire quello che custodiscono». Ecco che, come dice San Paolo, la più grande di tutte è la carità, «cioè l’amore» aggiunge Lucilla Giagnoni. E frutto dell’amore è la misericordia, una virtù, sottolinea l’attrice “femminile, teatrale e civile”. Femminile, perché nasce dalla capacità di saper accogliere e poi dare alla luce, come fa ogni madre, con dolore, come ha raccontato Lucilla Giagnoni rievocando con pathos il parto di Maria, richiamando un brano de “In nome della madre” di Erri De Luca (uno dei momenti più forti dello spettacolo). E così la misericordia chiede di «fare spazio dentro di sé, accogliere l’altro, ciò che è diverso da noi», per poi separarsene di nuovo, ma continuando ad amarlo, come una madre con il figlio. Così la misericordia è accoglienza e perdono. Teatrale, perché “a specchio”. «Beati i misericordiosi, perché riceveranno misericordia – o ancora meglio con il passivo, saranno misericordiati. Non perché per dare bisogna ricevere, ma perché ognuno di noi sa di poter contare sulla misericordia di Dio, un dono più grande». A specchio anche perché «ogni uomo è dotato di empatia, sa mettersi nei panni dell’altro, condividere la gioia e il dolore». E civile infine perché crea relazioni, crea unità, alimenta la capacità di stare bene insieme, una capacità sulla quale si fonda la vita civile. Il percorso di Lucilla Giagnoni ha attraversato – come è nel suo stile – i testi sacri, la letteratura, la scienza, contaminando linguaggi diversi, legando in un solo respiro il passato delle tradizioni, che una festa come quella del patrono della città, Sant’Alessandro, non può dimenticare, il presente della vita attuale della città, con le sue diverse anime, civili, religiose, culturali, e, soprattutto, il futuro, l’eredità che vogliamo consegnare, intessuta di queste virtù che mettono radici nel profondo e insieme lanciano lontano, aprendo l’orizzonte del mondo, donandogli luce. Proprio la luce, con un valore simbolico oltre che artistico, ha conquistato poi la scena nell’ultima parte della serata, con il “visual mapping” di Massimo Violato, che ha scomposto e ricomposto in un caleidoscopio di colori gli elementi architettonici della facciata del Duomo, una conclusione in bellezza per una festa che la città ha mostrato di apprezzare fino in fondo.