«Phobia»: così Wulf Dorn racconta in un thriller le paure dell’uomo di oggi

«Phobia», la paura. È intrigante il titolo del nuovo romanzo dello scrittore tedesco Wulf Dorn (Corbaccio), che giovedì 11 settembre sarà alla libreria Ibs di via XX settembre a Bergamo alle 18,30. La data della presentazione coincide con quella di uscita del libro: una bella anteprima per la nostra città, e una giornata non casuale. Dorn infatti, che dopo vent’anni da terapista in psichiatria è diventato autore di thriller molto apprezzati dal pubblico di tutto il mondo, parla della paura di ciò che di inaspettato può accadere nella nostra vita, delle inquietudini dell’uomo contemporaneo, compresa quella del terrorismo. Ma il messaggio che offre è di speranza: «La vita è un dono, e non sappiamo quanto tempo abbiamo a disposizione. Così cerchiamo di usarlo al meglio».

Come è nato questo libro, da dove ha tratto l’ispirazione?
«”Phobia” è ispirato a una storia vera. Un giorno un amico mi ha raccontato che cosa era accaduto a lui e a sua moglie. Erano tornati a casa tardi da una festa e sono andati direttamente a letto. Quando si sono alzati il giorno dopo hanno trovato l’intera casa buttata all’aria. La tv e lo stereo erano stati rubati, così come i gioielli della signora e tutti gli armadi e i cassetti erano aperti, anche nella camera da letto. Loro due erano scioccati. Mentre dormivano i ladri avevano fatto irruzione in casa loro e l’avevano svuotata. È stata una delle storie più impressionanti e spaventose che abbia mai sentito. Immagini cosa sarebbe potuto succedere se si fossero svegliati quella notte. Un’altra fonte di ispirazione è stata un caso con cui ho avuto a che fare durante il mio lavoro in psichiatria. Un uomo malato di schizofrenia è entrato in casa di sconosciuti. Aveva un coltello e ha costretto una madre con i suoi due bambini a pranzare con lui. Poi ha chiesto alla donna di chiamare la polizia. E’ stato arrestato e tutto è finito bene. Non siamo mai riusciti nella terapia a trovare la ragione di questo comportamento. Ma la mia motivazione principale per scrivere questo libro viene dalla più recente storia Europea. Nel 2007 stavo lavorando per un programma di ricerca psichiatrico europeo. Il nostro centro di coordinamento era collocato alla King’s University di Londra e io ho vissuto lì per un po’, prima al campus e poi a Forest Hill (questo è il motivo per cui ho scelto entrambi questi luoghi per Phobia). In questo periodo ho sentito intorno a me molta paura per gli orribili attacchi terroristici che si erano verificati un paio di anni prima. La gente era sospettosa, specialmente in metropolitana. Improvvisamente ogni tanto veniva dato l’annuncio di non lasciare bagagli incustoditi aveva un significato differente. Nel nostro mondo era entrata la paura di ciò che non conoscevamo e che non potevamo prevedere. E questa sensazione di terrore era estremamente pericolosa. Così avevamo sperimentato che non eravamo più al sicuro a casa nostra. Questo è ciò che è successo ai miei amici, ma su scala globale».

Il suo romanzo parla della paura e della sofferenza che si nascondono sotto l’apparenza di una vita normale. Ma pensa che sia in qualche modo davvero possibile che uno sconosciuto prenda il posto del proprio marito (o moglie) come accade nel libro?
«Spero che non accada mai (ride). Mi impaurisce da morire l’idea di pensare che ci sia mia moglie in cucina e poi invece scoprire che c’è una sconosciuta! No, ma seriamente il libro parla della paura che entri nella nostra routine quotidiana qualcosa che non conosciamo e che non possiamo controllare. Adesso nella nostra vita noi non pensiamo davvero che possa accaderci qualcosa del genere, almeno non quando tutto va come dovrebbe. Anche se io penso che sia la cosa migliore che possiamo fare, senza preoccuparci troppo, è comunque importante capire che ogni singolo giorno passato in modo “ordinario” è un regalo. Dovremmo imparare ad apprezzare di più ciò che la vita ci offre, invece di lamentarci del lavoro o dello stress che subiamo oppure del fatto che ci annoiamo. Non sappiamo in realtà che cosa succederà domani. Forse noi o le persone che amiamo si ammaleranno, o perderemo il lavoro, ci sono mille possibilità. La vita è un dono, e non sappiamo quanto tempo abbiamo a disposizione. Così cerchiamo di usare al meglio il tempo che abbiamo. È questo il messaggio del mio romanzo».

Sara, una dei protagonisti della sua storia, nel libro lavora come editor e sta per leggere un thriller che parla di serial killer, pieno di violenza e di sangue. Tra le righe, con un po’ d’ironia, lei mostra apertamente che quel genere non le appartiene e non le piace. Qual è la sua ricetta per un buon thriller?
«
Il brivido, semplicemente. Sono mortalmente serio, non c’è niente di più difficile da raggiungere di questo. Un sacco di delitti e di sangue non faranno sentire il lettore elettrizzato ed emozionato. Sono più importanti protagonisti che abbiano una vita credibile e una bella profondità, che possano contare sull’empatia del lettore. Vorrei che i miei lettori si preoccupassero del destino dei protagonisti. Che cosa succederà? Se la caveranno? Se chi legge si fa queste domande, allora saprò di aver fatto un buon lavoro. Prenda Mark per esempio: era un personaggio marginale ne “La psichiatra”, ma negli ultimi anni ho ricevuto un sacco di email dai miei lettori che mi chiedevano che cosa è successo a Mark dopo la fine della storia di Ellen. Questo per me è fantastico, perché Mark era come una persona vera per loro. Ero molto grato che si fosse fatto così tanti amici e così mi sono ripromesso di pensare allo sviluppo della sua storia un giorno. Così quando ho incominciato a scrivere “Phobia” ho pensato che finalmente fosse arrivato il momento del suo ritorno».

In questo libro lei parla di attacchi di panico e di ansia che si manifestano all’improvviso nella vita di tutti i giorni. Sono sintomi che oggi hanno una grande diffusione. Secondo lei c’è qualcosa nella nostra cultura contemporanea che li fa crescere?
«Ci sono diversi studi secondo i quali i disturbi legati all’ansia sono cresciuti molto nella società contemporanea, ed è un fenomeno ancora in espansione. L’ho sperimentato anche nei vent’anni di lavoro come terapista. Con il passare del tempo ho avuto sempre più pazienti che soffrivano di disordini d’ansia. È allarmante anche che le ragioni più comuni delle assenze per malattia dal lavoro oggi vengano da disturbi psicosomatici. A parte questo, diciamolo, molte paure sono entrate a far parte della nostra vita oggi: paure comuni come quella di ammalarsi o di restare senza lavoro, ma anche di una nuova guerra, di veleni nel cibo, della diffusione di virus come Ebola in Europa, la crisi finanziaria, un collasso del nostro sistema economico, il terrorismo e altro ancora. A mio parere si tratta di un effetto collaterale della cosiddetta “era dell’informazione”. Il mondo globalizzato è diventato un posto piccolo e noi sappiamo molto di più di quello che ci accade intorno rispetto a centinaia d’anni fa. Il flusso di informazioni che circola attraverso tutti i canali che abbiamo a disposizione diventa sempre più grande. A volte è più di quello che la nostra mente è in grado di elaborare e digerire e così le nostre paure crescono. Ciò che dobbiamo imparare è a selezionare quali paure hanno un fondamento, e se ce l’hanno, dobbiamo cercare di gestirle. La cosa più importante è affrontare le paure invece di ignorarle finché finiscono per dominare la nostra vita. E questo è un altro messaggio di “Phobia”».

La sua esperienza di terapista l’ha aiutata a scrivere questo libro?
«Come in tutte le mie storie la mia esperienza professionale mi è stata di aiuto per indagare nella vita dei personaggi e nelle loro motivazioni. Per esempio la paura più grande di Sara e le circostanze che l’hanno fatta nascere».

Quali sono i suoi thriller preferiti? Quelli che le hanno fatto venire voglia di lavorare duramente per diventare uno scrittore?
«Molti dei miei modelli arrivano dal genere horror. Questa è la ragione per cui io vedo me stesso più come un’autore di storie horror, anche senza mostri sovrannaturali, perché dal mio punto di vista i veri mostri vivono dentro la mente degli uomini. Quando avevo dodici anni ho letto l’antologia di Stephen King “Nightshift” in segreto, di notte, con una torcia sotto le coperte, perché i miei genitori non volevano che leggessi quel genere di libri, e ne sono rimasto affascinato. King è un narratore molto brillante. Ama davvero i suoi personaggi e li tratta sempre con rispetto. Così ho desiderato diventare bravo come lui. Grazie a una fortunata coincidenza, alla fine ho incontrato King l’anno scorso a Monaco. È stato bellissimo parlare con lui. Abbiamo riso molto, specialmente quando mi ha detto che il mio taglio di capelli gli ricordava Billy Idol (ride). I miei thriller preferiti di sempre sono “Jesus Video” di Andreas Eschbach”, “Il suggeritore” di Donato Carrisi, i romanzi di Jack Reacher di Lee Child, tutti i libri di Paul Cleave, “Codice a zero” e “La cruna dell’ago” di Ken Follett e “Fuori dal tempo” di Chad Taylor, la storia più strana che abbia mai letto».