Non possiamo non dirci “cristiani”. Tra laicismo e Islam

Anche un parroco in pensione come me è spesso richiesto di un parere su quanto succede nell’attualità. Un tema ricorrente è quello dei rapporti con l’islamismo e in particolare proprio con gli islamici che sono immigrati qui da noi e che in un modo o nell’altro interpellano la nostra cultura. Dico subito che uno dei chiodi su cui da tempo batto più insistentemente non è tanto quello dell’islamismo e degli islamici, quanto quello della nostra cultura europea (italiana in particolare) in rapporto all’islamismo e agli islamici, e qui chiamo in causa nientemeno che Benedetto Croce.

BENEDETTO CROCE: NON POSSIAMO NON DIRCI “CRISTIANI”

In un suo breve saggio pubblicato nel 1942, il filosofo napoletano, dopo aver letto il Nuovo Testamento, spiega perché – secondo lui – non possiamo non dirci “cristiani”. All’amica che gli aveva regalato appunto un’edizione del Nuovo Testamento, scrive: «Ho quasi terminato, in questi giorni il Nuovo Testamento. […] sono profondamente convinto e persuaso che il pensiero e la civiltà moderna sono cristiani, prosecuzione dell’impulso dato da Gesù e da Paolo. Su di ciò ho scritto una breve nota, di carattere storico, che pubblicherò appena ne avrò lo spazio disponibile». Quindi le chiede retoricamente una conferma di quanto egli ha pensato: «Non sente Ella che in questa terribile guerra mondiale ciò che è in contrasto è una concezione ancora cristiana della vita con un’altra che potrebbe risalire all’età precristiana, e anzi pre-ellenica e pre-orientale, e riattaccare quella anteriore alla civiltà, la barbarica violenza dell’orda?». Secondo il filosofo napoletano «Il Cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuta… ». Le altre rivoluzioni «non sostengono il suo confronto, parendo rispetto a lei particolari e limitate». A questo punto, quasi prevedendo un’obiezione di fondo da parte dei sostenitori delle rivoluzioni moderne, precisa e completa, ma ribadisce il suo pensiero: «Le rivoluzioni e le scoperte che seguirono nei tempi moderni, in quanto non furono particolari e limitate, ma investirono tutto l’uomo, l’anima stessa dell’uomo, non si possono pensare senza la rivoluzione cristiana… perché l’impulso originario fu e perdura il suo… la rivoluzione cristiana operò nel centro dell’anima, nella coscienza morale, e conferendo risalto all’intimo e al proprio di tale coscienza, quasi parve che le acquistasse una nuova virtù, una nuova qualità spirituale, che fino allora era mancata all’umanità».

LA MODERNITÀ E L’EUROPA “LIQUIDA”

Il riferimento a Benedetto Croce, che, come comunemente riconosciuto, ha un posto di tutto riguardo nella nostra cultura, mi permette di denunciare una volta di più questa Europa “liquida” che, al momento del varo della sua Costituzione, complice l’Italia, ha stoltamente rifiutato il riconoscimento ufficiale delle radici cristiane della nostra civiltà. Si dirà che questo riconoscimento era fuori luogo innanzitutto per il rispetto dovuto alla fondamentale laicità della società attuale e, in subordine, per il rispetto altrettanto dovuto all’innegabile diffusione dell’ateismo, o, comunque, dell’agnosticismo. Ma non è difficile rispondere con le parole già citate dello stesso Croce secondo il quale «le rivoluzioni e le scoperte che seguirono nei tempi moderni, in quanto non furono particolari e limitate, ma investirono tutto l’uomo, l’anima stessa dell’uomo, non si possono pensare senza la rivoluzione cristiana…». Si pensi anche soltanto alla Rivoluzione francese e alla conseguente Dichiarazione dei diritti dell’uomo. Le modalità del laicismo, dell’agnosticismo e dello stesso ateismo europei rivelano, per contrasto, delle evidenti radici cristiane. Non si dimentichi che il grande regista spagnolo Buñuel alla domanda come si definisse dal punto di vista religioso rispondeva: «Per grazia di Dio sono ateo».

L’AMBIGUA LAICITÀ DEI NOSTRI  GIORNI

Per altri, il riconoscimento di queste radici era fuori luogo per il rispetto dovuto alla presenza ormai massiccia tra noi di persone di altre fedi. A me però questo argomento sa tanto di pretesto bell’e buono. Secondo me, a sostenere questa posizione sono gli stessi laicisti, atei e agnostici di casa nostra di cui si parlava prima. Questi signori, prima del successo ottenuto nell’escludere l’accenno alle radici cristiane della nostra cultura, non erano riusciti a spuntarla in alcun modo nella loro lotta ai segni cristiani nella nostra società. Ci stanno riuscendo da un po’ di tempo, passo dopo passo, con il pretesto del rispetto delle convinzioni religiose degli immigrati. È sotto gli occhi di tutti, per esempio, lo scempio delle nostre tradizioni cristiane nella scuola ogni anno a Natale. Stanti queste premesse, ci si domanda fino a quando da questi intellettuali laicisti sarà tollerato nei nostri programmi scolastici tutto il patrimonio religioso, soprattutto di marca cattolica, della nostra letteratura (Divina Commedia, Promessi Sposi…), della filosofia, dell’arte, del lessico, della toponomastica, delle usanze, ecc. ecc. E in questo scempio gli islamici per il momento c’entrano in misura infinitesimale.

NOI, “CROCIATI” PER I MUSULMANI

Non si dimentichi però che gli immigrati islamici, senza aver mai conosciuto Benedetto Croce, “sentono” che in Italia, nonostante tutto, anche l’aria che si respira, perfino riguardo ai miasmi, è impregnata di cristianesimo. E sono quindi convinti che anche quelli che rinunciano ai segni cristiani della nostra civiltà per sedicente rispetto nei loro confronti, in realtà sono e rimangono cristiani. Noi occidentali, è bene che si sappia, per loro siamo e rimaniamo tutti dei “Crociati”. Per questo, son pronto a scommettere, per esempio, che, in caso di malaugurato affermarsi anche qui da noi dell’espansionismo islamico, i nostri laicisti di qualsiasi marchio non avrebbero alcuna speranza di scamparla dalle violenze anticristiane che il fanatismo mette terribilmente in atto nei paesi a maggioranza musulmana. Teniamoci perciò caro il nostro Benedetto Croce, tutti: sia noi che dall’intellighentia italica siamo spregiativamente etichettati come bigotti, sia gli illuminati che si autodefiniscono agnostici o atei. E soprattutto non manchiamo di tirare le più logiche conseguenze di quel «Non possiamo non dirci “cristiani”» che è di un’evidenza perfino quasi lapalissiana. Solo così avranno senso e valore e forse anche efficacia gli sforzi di dialogo interculturale che la globalizzazione rende sempre più necessari e urgenti.