La vigna, il padrone, i servi. I confini della vigna e la sua “differenza”

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano (Vedi Vangelo di Matteo 21, 33-43. Per leggere i testi liturgici di domenica 5 ottobre, ventisettesima del Tempo Ordinario, “A”, clicca qui).

LA VIGNA

Tutto il passaggio evangelico ricorda e riprende l’immagine tradizionale della vigna, quella che si trova nella prima lettura di oggi. In Isaia Dio è paragonato al piccolo coltivatore che cura con amore la sua vigna, perché da quella vigna dipende la sua vita: la pianta, la circonda di una siepe, costruisce una torre per montarvi la guardia. Non tralascia proprio nulla. Dio, verso il suo popolo, si comporta allo stesso modo: si prende cura sempre e in ogni circostanza, amorosamente, del suo popolo.
Quando è il momento del raccolto il padrone della vigna manda i suoi servi a ritirare la sua parte di raccolto, come allora si usava fare. Solo che i contadini trattano malissimo gli inviati del padrone. Arrivano perfino a ucciderli. Di fronte all’insuccesso dei “servi” inviati nella vigna, il padrone tenta l’ultima carta: manda il proprio figlio; spera che almeno di lui i vignaioli abbiano rispetto. E invece il fatto di essere figlio, diventa un elemento in più che spinge i vignaioli omicidi a ucciderlo: «Costui è l’erede; su, uccidiamolo, e avremo noi la sua eredità».

I SERVI E IL FIGLIO

I servi alludono esplicitamente a tutti quei “servitori” che Dio aveva inviato a Israele. Sono soprattutto i profeti. Molti sono stati perseguitati, alcuni uccisi. Come il profeta Zaccaria: «Allora lo spirito di Dio investì Zaccaria, figlio del sacerdote Ioiadà, che si alzò in mezzo al popolo e disse: “Dice Dio: perché trasgredite i comandi del Signore? Per questo non avete successo; poiché avete abbandonato il Signore, anch’egli vi abbandona”. Ma congiurarono contro di lui e per ordine del re lo lapidarono nel cortile del tempio».
Ora il tempo dei profeti è finito ed è arrivato il tempo del figlio. Gesù è il Figlio, infatti, e il suo tempo è quello dei frutti, quando Dio prende le iniziative ultime, il tempo della “salvezza”, il “tempo opportuno”. Come il figlio della parabola, anche Gesù ha già previsto di morire sulla croce. Adesso lo conferma. Sarà cacciato fuori della vigna: morirà fuori della città, infatti, come stabiliva la legge per ogni condannato a morte. «Anche Gesù, per santificare il popolo con il proprio sangue, patì fuori della porta della città», dice la lettera agli Ebrei (13, 12).
E così si avvera quanto detto dal salmo 118: «La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi». Israele rifiuta Gesù. Dio, invece, fonda il nuovo Israele proprio su quel Messia che Israele ha rifiutato e così lui, Messia rifiutato, diventa pietra angolare. Donde la conclusione: «Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».

DIO “SE NE È ANDATO”

La vigna si costruisce con i vitigni piantati, curati, protetti dalla siepe e dalla torre. La siepe, la torre e l’amore del padrone della vigna distinguono la vigna da quello che non lo è. Ma il padrone affida la vigna ai vignaioli. Se qualcuno vuole avere del vino del proprietario, non può rivolgersi lui, che se ne è andato, ma ai vignaioli, ai quali lui ha affidato la vigna. La Chiesa è come la vigna. Dio l’ha piantata: lui ha fondato la Chiesa, infatti. Ma poi “se ne è andato”. Chi vuole avere parte dell’infinita bontà di Dio, non si rivolge direttamente a lui, ma alla Chiesa. Questa è chiamata a far diventare visibile l’invisibile amore di Dio. E la Chiesa, da parte sua, se vuole davvero far diventare visibile l’amore di Dio deve custodire i segni distintivi con i quali lui l’ha costruita. Deve apparire davvero come la vigna del Signore. Ora la Chiesa sparisce quando spariscono i segni che la distinguono. Spesso la responsabilità di quella dissoluzione della visibilità della Chiesa siamo noi. L’importante è essere onesti, si dice spesso. Ma non è necessario essere cristiani per essere onesti. L’onestà è di tutti e non solo di chi ha fede e va in chiesa. Ma tocca a chi ha fede dire che Dio è il padrone della vigna, che Dio salva con il suo amore. E la Chiesa esiste per dire esattamente che quell’amore è veramente offerto agli uomini, a tutti gli uomini.

NON SIAMO I PADRONI DELLA CHIESA

Particolare importante: Dio resta il padrone della vigna, anche quando “se ne va” ed è lui che richiede i frutti, “al tempo opportuno”. Non siamo noi i padroni della Chiesa. Questo vale per papa, vescovi e preti che, avendo il compito di curare il popolo di Dio, rischiano talvolta di considerarlo come loro proprietà. Ma vale per tutti. Quante volte si incontrano persone che esigono una Chiesa esattamente come la vogliono loro, perfettamente su misura. Non ci si ricorda che la Chiesa non è nostra, ma di Dio e che quindi dobbiamo rendere conto di quello che ne facciamo… E che, se i confini della Chiesa non si notano più è colpa nostra.