Domani (sabato 4 ottobre) è un giorno importante per i musulmani: si festeggia “Eid al-Adha”, la “festa del sacrificio”, chiamata anche “Eid al Kabir”, la “festa grande”, in contrapposizione all’Eid al-Saghīr, la “festa piccola”, ossia la festa della rottura del digiuno alla fine del mese di Ramadan. La parola “Adha” deriva dalla radice araba <A-H-Y>, che richiama il significato di “sacrificare”: si ricordano le prove che sarebbero state superate dal profeta Ibrahim (Abramo) e dalla sua famiglia. Il sacrificio rituale del montone ricorda infatti il sacrificio sostitutivo effettuato con questo animale da Abramo, del tutto obbediente alla volontà divina di sacrificargli il figlio Ismāil (Ismaele) prima di venire fermato dall’angelo. È quindi per eccellenza la festa della fede e della totale e indiscussa sottomissione a Dio. La parola “islām” significa infatti “sottomissione a Dio”.
I musulmani possono sacrificare un ovino, un caprino o un bovino. La carne viene divisa preferibilmente in tre parti uguali: una viene consumata subito dalla famiglia, la seconda va conservata e consumata successivamente, mentre la terza va distribuita ai poveri della comunità che non hanno i mezzi per acquistarla. Un momento di festa che personalmente considero come un punto di partenza comune tra cristiani e musulmani: l’episodio della richiesta divina ad Abramo di sacrificare il proprio figlio, infatti, si trova in entrambe le religioni monoteiste, con l’unica differenza che nell’episodio biblico ad essere sacrificato è Isacco, mentre nel Corano è Ismaele.
Un giorno che potrebbe essere un’occasione quindi per ricordare le somiglianze di queste due religioni, invece delle differenze, sulla base di quel “dialogo interreligioso” di cui si sente parlare spesso, ma molte volte ci si dimentica e che in questi ultimi mesi, sovraccaricati di notizie riguardanti le brutalità commesse dall’Isis (Is o Daech), ha lasciato il passo a pregiudizi ed episodi di razzismo. È dei giorni scorsi la notizia di un raid vandalico ai danni del centro culturale islamico di Fiorano: ignoti, durante la notte hanno scritto sui muri “Holy 666 Jake”; “holy” in inglese significa “santo”, “666” è il numero del diavolo e “Jake” un nome di persona. I carabinieri della zona stanno indagando: al momento sembrano più improntati a ricondurre l’episodio ad una bravata più che ad un attacco mirato.
In altre parti d’Italia, invece, non sono mancate vere e proprie minacce e parole dure. Eppure la Chiesa con il Concilio Vaticano II ha ricordato e invitato la comunità cristiana al rispetto e alla comprensione dei fedeli musulmani: “La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce. Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano tuttavia come profeta; onorano la sua madre vergine, Maria, e talvolta pure la invocano con devozione. Inoltre attendono il giorno del giudizio, quando Dio retribuirà tutti gli uomini risuscitati. Così pure hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio, soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno. Se, nel corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorte tra cristiani e musulmani, il sacro Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà”. Una linea che papa Francesco sembra incarnare perfettamente. Non resta quindi che augurare una buona Festa del Sacrificio ai fedeli musulmani della Bergamasca.