Dialogo estivo in un’isola greca. Le divisioni dei cristiani. La storia e l’attualità

La riflessione che segue non è stata occasionata dalla partecipazione ad un seminario sull’ecumenismo, ma più futilmente da una conversazione con un pope greco-ortodosso di Mikonos, splendida isola delle Cicladi, assai nota, ma non per ragioni teologiche.

IL POPE ORTODOSSO 

Seduto su una sedia, davanti alla sua piccola chiesetta bianco-calce, capelli lunghi raccolti a codino, barba nera leggermente brizzolata, moglie e figli poco lontani, Dimitri, il prete greco, osserva il flusso ininterrotto di turisti global che sciamano lungo le viuzze strettissime, tra le case candide. Qualcuno si ferma, entra in chiesa, accende una candela sottile e riprende il girovagare tra negozi sovraccarichi di ogni inutilità. La conversazione passa subito dalle malinconiche considerazioni sulla laicizzazione indifferente europea al ruolo dei cristiani nel mondo. Shimon Peres ha appena proposto l’Onu delle religioni. Facile l’ironia condivisa: e se cominciassimo dall’ONU dei cristiani? E qui il discorso si è fatto più serio: cattolici, ortodossi, luterani, metodisti, centinaia di sette, insomma i cristiani! possono contribuire all’unità spirituale del pianeta, se tra loro restano così incomprensibilmente divisi e pertanto sempre meno influenti sui destini del mondo?

LE MOLTE CHIESE CRISTIANE. IL PESO DELLA STORIA E DELLA POLITICA

Dimitri mi ha ribadito ciò che anche noi sappiamo: che le differenze teologiche con il mondo ortodosso si riducono al “Filioque” e a poco altro. Se allarghiamo lo sguardo alle altre confessioni cristiane, le differenze aumentano – per es. a riguardo del numero dei sacramenti – ma resta per tutti un contenitore comune: il Cristo incarnato. Incarnazione e resurrezione sono per tutti i cristiani i caposaldi. Eppure lo scandalo della divisione – cioè filologicamente e teologicamente il diavolo – perdura. Nei primi due secoli di cristianesimo, “airesis” voleva dire scelta, non eresia. E c’era parecchio da scegliere, all’interno del pluralismo originario delle comunità. Gnostici, marcioniti, artemoniti, montanisti, docetisti, ebioniti, manichei… proponevano diverse interpretazioni e diverse pratiche di comunità ecclesiale: la formazione del Canone, la definizione dei dogmi, la liturgia – si pensi alla disputa sulla data della Pasqua – l’organizzazione della Chiesa erano l’oggetto di discussione aspra, di scissioni e ricongiungimenti. Tracce di questi scontri sono esplicite già nelle Lettere di San Paolo. Il cammino verso il Credo niceno-constatinopolitano è stato molto tormentato. Il “Filioque” sarà aggiunto più tardi, ad opera di Paolino di Aquileia, su pressione di Carlo Magno – al quale più che la teologia della Trinità interessavano i domini bizantini in Italia – e, più tardi, di Enrico II di Germania, sempre per questioni politiche. Il passaggio dell’airesis da “scelta” a “eresia” non fu dovuto solo alle elaborazioni intellettuali dei teologi, che pretendevano di dire l’indicibile utilizzando le categorie delle filosofie a loro contemporanee, ma anche al fatto decisivo che la Chiesa stava diventando, con Costantino, Chiesa di stato e pertanto l’unità della Chiesa diventava una questione di unità politica dello Stato imperiale. Il primo Concilio ecumenico, quello di Nicea del 325, fu convocato e presieduto dall’imperatore Costantino, perché temeva che le dispute tra i cristiani avrebbero portato alla disgregazione dell’Impero. La storia delle eresie fino a quella luterana è anche storia politica, non solo nel senso del potere interno alla Chiesa, ma soprattutto interno al potere degli Stati. Lo scontro tra Carlo V e i Principi tedeschi e le vicende dinastico-matrimoniali di Enrico VIII in Inghilterra hanno segnato e sovradeterminato le dispute teologiche ed hanno generato le fratture che conosciamo. Ora, è inutile oramai scandalizzarsi se il movimento cristiano, nel suo divenire storico, è entrato in osmosi con le culture, le filosofie, i costumi che ha trovato sul terreno e si è fatto piegare. La storia ha fatto quel cammino.

OGGI, PAPA FRACESCO, LE NUOVE SFIDE

Ma, oggi, da quando la Chiesa con il Concilio Vaticano II ha cessato di essere strettamente intrecciata con il potere politico, oggi che la Chiesa di papa Francesco sta diventando “cattolica”, molte delle antiche divisioni appaiono teologicamente superate o superabili al cospetto dei credenti. Forse non dei teologi. Sarebbe certamente semplicistico sottovalutare l’importanza storico-culturale delle discussioni sulla natura del Cristo, sulla Trinità, sull’Incarnazione e la Resurrezione. Decidere se Dio si sia fatto carne o se invece se ne stia lontano dal mondo come l’aristotelico Motore Immobile è questione identitaria decisiva per il cristiano. Così come decidere se l’uomo è libero e responsabile o fatalisticamente predeterminato nel suo destino. Ma tutto il resto delle dispute teologiche appare storicamente determinato e caduco. Lo schema dell’ “anathema sit!” non ha più senso. All’esterno premono sfide epocali: il disordine mondiale sta aumentando; salgono sulla scena del mondo grandi masse totalmente estranee al Cristianesimo (Cina e India); l’Islam continua a produrre al suo interno insorgenze fondamentaliste; in Europa il Cristianesimo cattolico e protestante sembra andare verso il crepuscolo; la bio-politica e la bio-scienza stanno mettendo in questione l’uomo così come l’abbiamo conosciuto. Di qui in avanti si vedrà se la religione, le religioni, il Cristianesimo riusciranno ad essere costruttori di civiltà e di storia.