Silvano Petrosino: il male inspiegabile, il suo eccesso e il peccato originale

Immagine: Michelangelo, Peccato originale (Cappella Sistina)

«Certamente nulla ci urta più profondamente di questa dottrina», scriveva Blaise Pascal in riferimento al dogma del peccato originale, aggiungendo però che «senza questo mistero, il più incomprensibile di tutti, noi restiamo incomprensibili a noi stessi».

Si direbbe che oggi l’insegnamento della Chiesa sul “peccato di Adamo e di Eva” risulti ancora più ostico che ai tempi di Pascal: le scoperte della paleontologia mettono in dubbio la realtà di uno “stato originario” venuto meno per la colpa dei progenitori, e nella mentalità diffusa il racconto di Genesi 3 (con il serpente tentatore e la cacciata dal giardino di Eden) rimanda a una lunga serie di vignette umoristiche o immagini pubblicitarie (tra le più brutte, ricordiamo quella in cui un Adamo e una Eva ammiccanti esibivano, come un peccaminoso trofeo, delle fette di «Mortadella Suprema»). Eppure, anche nella nostra epoca facciamo esperienza di un male che non nasce semplicemente dalle nostre azioni, ma le “precede”; di uno strano pervertimento per cui, anche nei nostri progetti più grandi ed entusiasmanti, la traiettoria spesso manca il bersaglio e l’esito è opposto a quello che auspicavamo per noi e per gli altri. Forse proprio per questo, ai giorni nostri sembra tornata in auge l’antica concezione dello gnosticismo per cui l’unica via di salvezza consisterebbe in una fuga dal mondo e dal tempo (ricordiamo le parole che James Joyce fa pronunciare a uno dei personaggi dell’Ulisse: «La storia è un incubo da cui cerco di destarmi»).

Si propone tuttavia di ritornare seriamente sulla questione della «colpa originale», rivalutandone il senso profondo, l’edizione di quest’anno del corso di «Introduzione alla Teologia» promosso dal Seminario di Bergamo e dalla Fondazione Bernareggi (si veda il link a fondo pagina). Il primo dei tre incontri in programma si è svolto venerdì scorso presso il Centro Congressi Giovanni XXIII, dove Silvano Petrosino, docente di Filosofia e di Teorie della comunicazione presso l’Università Cattolica di Milano, ha tenuto una relazione dal titolo: «I volti del male».

Professor Petrosino, si ripete spesso che davanti al “male assoluto” qualsiasi tentativo di spiegazione o interpretazione risulterebbe improprio, per non dire blasfemo: gli unici atteggiamenti ammissibili sarebbero il silenzio e la solidarietà con le vittime.

«Talvolta il discorso sul “male assoluto”, considerato irrazionale e perciò ultimamente incomprensibile, si è tradotto quasi in una serie di slogan:  come è possibile poetare, pensare, filosofare e così via, dopo Auschwitz? Io non condivido questo approccio, perché un male davvero assoluto, del tutto gratuito, non corrisponde a ciò che noi intendiamo parlando del male morale. Corrisponderebbe semmai al funzionamento di una “macchina omicida”, di fronte alla quale fuggiremmo o cercheremmo un modo per disattivarla: saremmo sollecitati ad agire, non a interrogarci sul “perché” di ciò che sta succedendo. Io ritengo, invece, che l’indagine sul male consapevolmente voluto e compiuto possa risultare decisiva per illuminare alcuni tratti di fondo della condizione umana».

Non basta una psicologia spicciola, per dar conto di molti nostri comportamenti “cattivi”? Trascuriamo chi ci ha vicino perché abbiamo delle preoccupazioni, a sera rispondiamo male alla moglie (o al marito) perché sul posto di lavoro tutto è andato storto…

«Probabilmente, molte azioni malvagie vengono compiute per stanchezza, distrazione o  superficialità. Rimangono azioni malvagie – sia chiaro -, ma possono essere facilmente comprese o spiegate. Ciò che davvero risulta inquietante, e interessante, è l’eccesso del male, la sua sproporzione rispetto a qualunque movente “ragionevole”: pensiamo al caso del sergente americano che in Afghanistan, senza un particolare motivo, ha assassinato sedici civili, tra cui dei bambini; o a quello del padre di famiglia che ha ucciso la moglie e i figli perché si era invaghito di una collega che, peraltro, non lo ricambiava affatto. Si riferiva a comportamenti di questo tipo lo psicoanalista Jacques Lacan, quando affermava che “la ferocia dell’uomo nei confronti del suo simile supera tutto ciò che possono fare gli animali”».

Sbagliamo, dunque, descrivendo una persona violenta e crudele come «una bestia»?

«Le spiegazioni di ordine “biologicistico”, che riconducono la violenza umana a impulsi animali, servono a rassicurarci, a confermarci nella convinzione che “noi” non giungeremmo mai a compiere certi delitti. In realtà, occorre prendere atto che l’uomo non è affatto come gli altri animali: in primo luogo, perché tutti i viventi sono mortali, ma solo l’uomo sa di esserlo; e poi, perché il desiderio umano non si riduce a un appetito di ordine biologico. Ricordiamo il personaggio di Don Giovanni: in una celebre aria dell’opera di Mozart si racconta che le sue conquiste amorose, in Spagna, ammonterebbero “già a mille e tre”. Immaginiamo che Don Giovanni, mentre si unisce a una donna, sia proteso con il pensiero verso la prossima. Detto diversamente: l’uomo ha in sé una “lacuna incolmabile”, un “buco”. Il male, nelle sue manifestazioni più distruttive, deriva proprio dalla volontà delirante di negare questa situazione di mancanza».

Si vorrebbe diventare immortali?

«Nella Bibbia, nel Libro della Sapienza, troviamo un brano illuminante circa il modo di pensare e di agire dei malvagi: “La nostra vita è breve e triste – così essi argomentano -, non c’è rimedio quando l’uomo muore”. Nel tentativo di lasciar traccia di sé, essi decidono di praticare l’ingiustizia: “Spadroneggiamo sul giusto povero, non risparmiamo le vedove, nessun riguardo per la canizie ricca d’anni del vecchio”. Tradizionalmente, si è sempre riconosciuto che il male, nelle sue manifestazioni esemplari, è distruttivo; e su questo punto – a me pare – i risultati di un’indagine sulla condizione umana si accordano con quanto afferma la dottrina cristiana del peccato originale. Il male, nella sua forma “eccessiva”, nasce dal desiderio di essere come Dio, di negare la propria mancanza, ri-creando se stessi. Come osserva acutamente Lacan: al fondo di un vero distruttore si nasconde sempre una “pulsione creazionistica”. In altri termini: il distruggere permette all’impotente di fare una certa esperienza (perversa) di potenza. Quando hanno chiesto a quel padre di famiglia perché avesse assassinato anche i figli, lui ha risposto, a suo modo con grande lucidità: “Non potevo accettare che loro rimanessero”».

Che l’uomo cerchi di negare la propria finitezza – di afferrare la propria ombra, per così dire – non corrisponde però a un destino ineluttabile.

«Evidentemente no. All’eccesso del male corrisponde, specularmente, una sproporzione nel bene: la ritroviamo nel gesto di padre Kolbe, che nel lager chiede di poter morire al posto di un altro prigioniero, ma anche negli eroismi quotidiani, non appariscenti di innumerevoli persone. Che cosa occorre, però, perché si abbia effettivamente la possibilità di scegliere tra il bene e il male? Bisogna aver già fatto, direi, l’esperienza del bene, essendo stati accolti da altri; bisogna che qualcuno ci abbia detto: “Tu non sei tutto, ma tu, per me, sei”».

 

Tra le opere  di Silvano Petrosino ricordiamo un testo incentrato sul tema della colpa, scritto insieme al teologo Sergio Ubbiali: L’eros della distruzione. Seminario sul male (Il Melangolo, pp. 142, 16 euro). Sempre con Ubbiali, Petrosino ha anche curato il volume collettivo  Il male. Un dialogo tra teologia e filosofia (Glossa Editrice, pp. 314, 22 euro).

 

Qui si può scaricare il volantino con il programma completo dell’edizione 2014 del corso di «Introduzione alla Teologia»:

http://www.santalessandro.org/wp-content/uploads/2014/09/Pieghevole_Invito-1.pdf