I volontari Caritas: «Ascoltiamo storie a volte incredibili. E poi è spontaneo ripensare alla nostra vita»

«Vi presenterò ora una serie di numeri e dati, ma ricordatevi bene che dietro si nascondo i volti delle persone che vengono accolte e delle persone che accolgono». Così il sociologo Marzo Zucchelli ha aperto il seminario “I volti poveri nelle nostre comunità cristiane”, organizzato dalla Caritas Diocesana Bergamasca, tenutosi ieri presso la parrocchia di San Paolo, in occasione della Giornata Mondiale di Lotta alla Povertà. Marco Zucchelli ha presentato i dati raccolti durante il 2013 dai quasi 1000 volontari operanti nei 73 CPAC, ovvero Centri di Primo Ascolto e Coinvolgimento, disposti in tutta la diocesi.

I Centri di Primo Ascolto, ha descritto Zucchelli, sono chiamati ad accogliere, ascoltare e orientare i poveri delle comunità verso le diverse strutture ecclesiali o civili disposte sul territorio, capaci di fornire il bisogno e il servizio richiesto. Sono dei luoghi privilegiati in cui ci si può far prossimo dei più poveri. «Stanno nascendo sempre più CPAC inter parrocchiali e questo è sintomo di una ottima capacità di fare rete e creare relazioni forti, necessarie per intervenire in modo più profondo ed efficace.»

Zucchelli è entusiasta del numero di volontari operanti nei Cpac, quasi 1000 e in costante aumento. La fascia maggiore è rappresentata da pensionati, ma una buona parte è composta anche da educatori, infermieri e sociologi.

Il seminario è ruotato però intorno a questa domanda: «Chi sono le persone ascoltate?». Infatti, i volti dei poveri nelle comunità bergamasche sono cambiati durante gli anni, espressione di una differente realtà economica e sociale in costante mutamento. Nel 2013 sono state ascoltate più di 9000 persone e famiglie in situazioni preoccupanti, sia straniere sia italiane. Con l’avvento della crisi economica il rapporto tra italiani e stranieri si sta progressivamente pareggiando, sintomo di una povertà diffusa anche tra le famiglie italiane. La causa principale è data dalla perdita del lavoro, a cui poi si legano problematiche ulteriori. «È la fascia della normalità che è diventata povera – ha precisato Zucchelli-. Provate ad immaginare cosa significa per un italiano recarsi in un centro d’ascolto: non è semplice ammettere di aver bisogno d’aiuto».

Le caratteristiche delle famiglie straniere e quelle italiane sono molto simili. Un esempio, l’aumentano in entrambi i gruppi delle fasce dei separati e dei divorziati. Desta preoccupazioni invece l’aumento rispetto al 2011 di famiglie danneggiate dal gioco d’azzardo e di famiglie con a carico bambini di età compresa tra gli 0 e i 3 anni.  Anche la richiesta di beni primari, come cibo, vestiti, la ricerca di un lavoro, sta crescendo su entrambi i fronti.

Marco Zucchelli ha sottolineato infine come sia essenziale un buon rapporto con le istituzioni, riuscendo a creare legami e sinergie. «I CPAC sono dei servizi che non devono solo fornire i beni essenziali, ma soprattutto dignità. Sono dei luoghi sociali ed etici. I più poveri non hanno bisogno unicamente d’aiuto, hanno il diritto di ricevere aiuto.»

 

«ASCOLTARE NON E’ FACILE: CI SI SENTE MOLTO COINVOLTI»

Maurizio, pensionato dall’anno scorso, si reca due volte a settimana presso il Centro d’Ascolto in via Gavazzeni, occupandosi in modo prevalente del secondo ascolto, ovvero del sostegno ulteriore che viene dato a chi, dopo un anno dal primo ascolto, necessita ancora di un aiuto economico. «La prima volta non è stata per niente facile – ha spiegato Maurizio -;  con il tempo ci si abitua ad ascoltare le storie, a volte incredibili. Dal punto di vista umano quello che ricevo è davvero intenso, per questo io partecipo volentieri a questi seminari della Caritas: solo così mi sento partecipe e davvero membro di un qualcosa di grande.»

«Io ho il volontariato nel DNA» si è presentata invece Rosella, di professione insegnante. «Per 31 anni, fin da quando ne avevo 17, ho lavorato per la Croce Rossa –racconta Rosella-.  Poi sono passato al Centro di Primo Ascolto di Sant’Alessandro in Colonna, dove ho operato per circa sei anni. L’impatto psicologico è molto forte, quindi ci dedichiamo fino a quattro ascolti. Le prime volte le persone che si rivolgono a noi parlano in modo molto tecnico, controllato. Poi, le altre volte, si abbandonano anche allo sfogo, raccontando molto di sé. Quando rientro a casa sono così presa che mi viene spontaneo fare il paragone tra la mia esperienza e la mia vita e ciò che ho ascoltato.» Dal 2009 invece Rosella è stata chiamata alla Caritas per lavorare al Fondo di Famiglia e Lavoro, dove vengono ascoltate e aiutate le famiglie che perdono il lavoro. «Settimana scorsa si è presentata una famiglia straniera; il padre ha lavorato regolarmente qui in Italia per ben 25 anni, fino a quando la sua ditta è fallita. Hanno ricevuto lo sfratto. I figli, quattro, sono molto bravi a scuola, ma vivono tutto con difficoltà. Sentono il peso della situazione precaria sulle loro spalle.»

L’ACCOGLIENZA DEI PROFUGHI: «SEMPLIFICHIAMO LA BUROCRAZIA»

Durante il seminario è intervenuto anche Don Claudio Visconti, presidente della Caritas Diocesana Bergamasca, che ha dichiarato la sua soddisfazione per il lavoro svolto dai CPAC . «Sono i segni di una Chiesa in uscita, come ci ha invitato papa Francesco. La Caritas è l’espressione di tanti volti della carità che lavorano per i poveri».  Don Claudio ha poi presentato la situazione dei profughi, di cui tanto si è parlato negli ultimi mesi. Le accoglienze dei profughi si possono dividere in due categorie. La prima è breve ed è riservata ai profughi così detti di “passaggio”. Sono in prevalenza famiglie siro-palestinesi, fuggite dalle guerre, che sostano in Italia solo per un periodo limitato, puntando invece a raggiungere il nord d’Europa. L’accoglienza presso strutture d’accoglienza più sviluppate e per periodi più lunghi riguarda invece in maggioranza interi gruppi di africani. «Queste persone arrivano con l’intenzione di restare –ha spiegato don Claudio -. Sono persone che presentano tre problemi principali: analfabetismo, pochissima esperienza lavorativa e nessun appoggio familiare qui in Italia.»

Don Claudio ha rivolto un appello alle istituzione su due fronti. Prima di tutto accorciare i tempi d’attesa per il permesso di soggiorno. «In Italia servono due o tre anni per avere una risposta e questo tempo è pericoloso perché inattivo per i profughi. Sappiamo benissimo che l’ozio è il padre di tutti i vizi. Per cercare di impiegare questo tempo in modo proficuo, sia per loro che per tutte le comunità, abbiamo pensato di inserirli in attività di volontariato. Così restituiscono la gratuità ricevuta.»  Il secondo problema sottolineato riguarda invece il concetto di “limite”. «Come diceva Enzo Bianchi, non possiamo accogliere in una casa con 8 posti letto 16 persone. Dicendo questo non voglio aiutare chi, per un certo egoismo, non apre le porte a nessuno, semmai esprimere la necessità di prendere in esame il problema, così da migliorare poi la collaborazione internazionale e politica.»

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