Sul Monte Tabor con padre Mario Hadchiti. Un incontro che cambia la vita

Ho avuto la fortuna di conoscere Abuna (padre in arabo) Mario Hadchiti, allora frate guardiano del Monte Tabor (oggi è parroco di Gerico) durante un periodo di lavoro trascorso in Terrasanta. Un incontro importante a livello personale, ma sarebbe riduttivo ridurlo a questo: in realtà, attraverso padre Mario, ho potuto capire come operano i francescani in quel paese, il loro contatto continuo con la popolazione locale, con i pellegrini. In poche parole con la comunità.
Al Monte Tabor opera dunque la comunità di “Mondo X”, che si occupa del recupero di ragazzi con problemi di tossicodipendenza. E durante il proprio noviziato in Italia Padre Mario ha passato un periodo in una comunità della stessa associazione.”E’ capitato che un ragazzo avesse una crisi e io tentavo di consolarlo, dicendogli: “tu sei prezioso, io posso imparare da te, io sono come te”. E lui mi disse: “No, tu non  sei come me”. Ebbene, ho capito da quelle parole che dovevo condividere in toto la loro sofferenza e non volevo niente di diverso da loro: se non potevano bere non bevevo nemmeno io, se dovevano restare a letto rimanevo disteso anche io. E’ stata dura, ogni giorno che passava mi sembrava durasse un anno. Ma ecco che, giorno dopo giorno, hanno incominciato a vedere qualcosa di diverso in me e io ho imparato la concretezza della vita, apprezzando ogni piccola cosa”. Per Padre Mario questo è il vero senso della sua missione: mettersi a completa disposizione di Dio e del prossimo. Missione che mette in pratica quotidianamente.  “Tutti i giorni mi ricordo che sono un peccatore (lui stesso si definisce “un mascalzone del Libano”) e che non sono io a fare delle opere buone, ma è Dio attraverso di me”. L’umanità che traspariva da questo frate francescano mi ha lasciato senza difese: ed è stato proprio il racconto delle difficoltà che ha vissuto, prima e dopo la vocazione, a colpirmi: mai, prima di allora, avevo intravisto in un uomo tanta sofferenza abbinata a una profonda fede, arricchita da un percorso tortuoso e tutt’altro che semplice.
E la naturalezza con cui mi raccontava il proprio trascorso ha superato ogni barriera tra noi: in lui ho dunque potuto intravedere non solo una figura religiosa, un’autorità (e lo era a tutti gli effetti) bensì l’essere umano. “Vengo dal Libano e la mia famiglia era cristiana ma non molto praticante. Il mio paese è stato martoriato dalla guerra e anche io ho prestato il servizio militare, proprio quando i siriani hanno invaso il Libano: ho visto sangue, fuoco, disperazione. Durante quei momenti terribili ho pregato Dio”. Anche per questo motivo Padre Mario mi ha ricordato la figura di San Francesco, ossia per aver vissuto in prima persona l’esperienza della guerra. Ma non solo: nella sua esperienza non sono mancati i contrasti con la famiglia (che non accettava la sua vocazione) e le rinunce a tutto ciò che è mondano, per farsi umile al servizio degli altri. “Avevo un buon lavoro e guadagnavo bene, dato che facevo il parrucchiere per le star della televisione libanese:  ho rinunciato a tutto, ma quante volte ho pregato la Madonna, a cui sono sempre stato molto devoto, perché non mi lasciasse solo nei momenti bui, nei momenti in cui le tue certezze e la tua stessa vocazione sembrano vacillare. Proprio per questo motivo ho scelto il nome Mario, come ringraziamento alla Madonna”.  Padre Mario sorride spesso, ma quando ricorda i momenti più drammatici della propria vita, religiosa e non, si porta spesso le mani in faccia, per poi riprendere a sorridere. “Quello che posso dirti è che ti auguro di vivere la tua vita con coerenza, pace, serenità e amore – mi disse quando venne il momento di salutarci- per realizzare tutto ciò che Dio ha cominciato in te”. E sono parole che porto (e porterò) sempre con me.

 

P. Mario Hadchiti con padre Pizzaballa

Nella foto padre Mario con padre PierBattista Pizzaballa, custode di Terra Santa