Bergamaschi popolo di emigranti: nel 2013 il 30% in più ha scelto di andare via

Sempre più bergamaschi scelgono di andare a cercare fortuna all’estero: nel 2013 le partenze sono state il 31% in più. La nostra provincia, da sempre terra di emigranti, è al 17° posto in Italia per il numero di partenze. Nella capitale europea più trendy, Londra, capace di attrarre il talento e in una terra, la Gran Bretagna, nella quale l’economia vola, vi sono attualmente oltre 500 mila italiani. Tra loro tanti che di nome e cognome fanno Carlo Brambilla: sono 16.418 le partenze di lombardi, evidenziate nella IX edizione del “Rapporto Italiani nel Mondo 2014” (ed. Tau) della Fondazione Migrantes.
«In realtà è un trend che riscontriamo da un paio di anni con un maggiore protagonismo nelle partenze delle regioni del Nord Italia, Lombardia e Veneto, seguite dal Lazio. È difficile però dire se pur partendo dal Nord si tratta, in realtà, di originari delle regioni del Sud che hanno già sperimentato un primo percorso di mobilità interna – dal Sud al Nord per studio o per lavoro – e che poi una volta finiti gli studi o rimasti senza lavoro decidono di provare la carta dell’estero», spiega Delfina Licata, ricercatrice sociale, curatrice del volume, strumento culturale che si propone di trasmettere informazioni sull’emigrazione italiana del passato e sulla mobilità di oggi. Risultati sorprendenti, perché in cima alle partenze ci sono gli abitanti della parte più produttiva del nostro paese, il Nord-Ovest.
Maschio, giovane, celibe e con un buon titolo di studio, è dunque questo l’identikit del nuovo migrante italiano. Commentando i titoli di alcuni quotidiani che hanno parlato di “una generazione in fuga dall’Italia” la dottoressa Licata, precisa: «In molti non sono d’accordo con il termine fuga. Da una parte è vero che i numeri sono sempre più alti, dall’altra però è anche vero che non bisogna condannare l’emigrazione ma valorizzare gli aspetti positivi, l’arricchimento dovuto al confronto con altri contesti culturali e la possibilità di mettere al servizio ciò che si è appreso in ogni contesto in cui ci si ritrova a vivere e operare. Ciò che va condannato è l’obbligo di migrare. Sempre più italiani non scelgono la mobilità ma ne sono obbligati così come non possono scegliere un eventuale ritorno».
Dottoressa Licata, ci può fornire il numero degli italiani che si sono trasferiti all’estero nel 2013 e alcuni altri dati salienti?
«Sono 4.482.115 i cittadini italiani residenti all’estero iscritti all’AIRE al 1° gennaio del 2014. L’aumento in valore assoluto rispetto al 2013 è di quasi 141 mila, il 3,1% nell’ultimo anno. Il 52,1% è di origine meridionale – più di 1,5 milioni del Sud e circa 800 mila delle Isole – mentre il 32,6% (quasi 1,5 milioni) è partito dalle regioni del Nord. Quasi 700 mila, infine, coloro che hanno dichiarato di essere originari di una regione del Centro Italia. La Sicilia resta la principale regione di origine degli italiani residenti all’estero con quasi 699 mila unità seguita dalla Campania (più di 451 mila), dal Lazio (quasi 396 mila), dalla Calabria (quasi 376 mila) e dalla Lombardia (più di 372 mila). L’Argentina è il primo paese preferito per tutte le comunità, esclusi campani, pugliesi, sardi, siciliani e trentini che sono presenti soprattutto in Germania; laziali e veneti in Brasile; lombardi e valdostani in Svizzera e umbri in Francia. Nel corso del 2013 si sono trasferiti all’estero 94.126 italiani, con una variazione rispetto al 2012 del +16,1%. Per la maggior parte uomini sia nel 2013 (56,3%) che nel 2012 (56,2%), non sposati nel 60% dei casi e coniugati nel 34,3%, la classe di età più rappresentata è quella dei 18-34 anni (36,2%). A seguire quella dei 35-49 anni (26,8%) a riprova di quanto evidentemente la recessione economica e la disoccupazione siano le effettive cause che spingono a partire. Dal 2012 al 2013 si registra una crescita generale delle migrazioni del +19,2%, un trend che non sembra destinato a fermarsi ma che anzi appare di gran lunga sottodimensionato rispetto alla reale consistenza delle partenze che in questo momento caratterizzano l’Italia».
I dati statistici relativi a Bergamo e provincia rispecchiano la situazione della Lombardia?
«In generale Bergamo è, dopo Milano e Varese, la provincia con il numero più alto di residenti all’estero (oltre 43 mila). Il protagonismo di Bergamo resta anche nei flussi recenti. A livello nazionale, è, infatti, la 17^ provincia (1.401 partenze nel corso del 2013 di cui 820 maschi e 581 femmine). Una crescita, nell’ultimo anno, di oltre il 31%».
Quali sono le altre mete privilegiate dei giovani in cerca di lavoro fuori confine?
Il Regno Unito, con 12.933 nuovi iscritti all’inizio del 2014, è il primo Paese verso cui si sono diretti i recenti migranti italiani con una crescita del 71,5% rispetto all’anno precedente. Seguono la Germania (11.731, +11,5%), la Svizzera (10.300, +15,7%) e la Francia (8.402, +19,0%)».
Se nel 2012 erano partiti in 78.941, il 30 per cento in più dell’anno prima, nella maggior parte ricercatori, cervelli nostrani in cerca di occupazione, forse il vero problema è che molti non tornano in Italia perché non lo trovano conveniente?
«In realtà non è dato di conoscere la professione di chi parte. Certo è che la preparazione scolastica è medio-alta, perché è aumentata la preparazione scolastica degli italiani in genere. È anche vero che da ricerche qualitative svolte all’estero gli italiani riconoscono subito la presenza di meritocrazia nel momento dell’assegnazione di borse di studio o anche solo dell’assunzione per un lavoro e questo diventa sicuramente motivo di maggiore apprezzamento dell’estero rispetto all’Italia. Meritocrazia significa un maggiore riconoscimento della propria dignità e capacità, elementi questi difficilmente rintracciabili in Italia. Mi preme però sottolineare la brutta abitudine di definire “cervelli” questi nuovi emigranti non riconoscendo loro che si tratta di persone nella loro interezza e dignità».
È vero che i 94mila italiani residenti all’estero non sono tutti, perché i ricercatori hanno tenuto conto solo di chi è regolarmente iscritto all’Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero)?
«Le ricerche si basano su fonti ufficiali e i dati ufficiali dell’emigrazione italiana sono quelli dell’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE). La legge italiana obbliga alla iscrizione all’AIRE per periodi di permanenza all’estero superiori ai 12 mesi. Difficilmente però gli italiani ottemperano a questo obbligo di legge, vuoi perché non sanno di questa normativa, o perché hanno paura di perdere privilegi da residenti in Italia, oppure semplicemente perché non hanno idea di come andrà il loro viaggio di perlustrazione e di ricerca all’estero».
Quattro emigrati su dieci sono donne, una cifra consistente. Cosa ne pensa?
«La mobilità di oggi è caratterizzata generalmente da uniformità di genere. Le donne hanno la stessa intraprendenza degli uomini e anche in passato il loro ruolo discreto, e silenzioso è stato fondamentale nella riuscita degli uomini ai quali erano accanto. Mogli, madri, lavoratrici o casalinghe sono state determinanti nella riuscita del progetto migratorio e lo sono anche oggi nel cambiamento culturale della mobilità. Sono sempre più numerosi anche i nuclei familiari che si spostano nel mondo. Matrimoni a distanza, coppie bi-nazionali, migranti per amore sono le nuove e moderne figure da cui hanno origine le famiglie globali, quelle per le quali le coordinate su cui realizzano la socializzazione e la costruzione dell’identità sono situate oltre i confini nazionali. In altri termini, nelle famiglie globali il confronto con l’estraneità, con il diverso, l’altro, il mondo è all’ordine del giorno. Come nelle famiglie, così ogni migrante di oggi all’interno dei processi di globalizzazione vive la globalità della sua identità per cui il mondo esterno e l’altro prima estraneo diventano parte integrante della vita».
A cosa si deve l’aumento degli emigranti italiani?
«Sicuramente al fatto che la crisi non allenta la sua morsa nel Paese e la precarietà economica, di lavoro di vita spinge a trovare urgentemente soluzioni che faticano a essere trovate in Italia. Lo sguardo così si rivolge all’estero così come è già stato per gli italiani in passato».
Monsignor Francesco Montenegro, Presidente della Fondazione Migrantes, ha ricordato che alla migrazione volontaria degli italiani si contrappone quella drammatica nel Mediterraneo. Desidera commentare la sua riflessione?
«Monsignor Montenegro durante l’intervento alla presentazione del Rapporto Italiani nel Mondo lo scorso 7 ottobre si è rivolto direttamente a noi ricercatori spronandoci a questo salto di qualità, a distaccarci dalla mera ricerca fine a se stessa per raggiungere l’utilità sociale di ciò che facciamo e toccare con mano i bisogni e le necessità delle tante persone. È come dire che ha umanizzato il nostro lavoro ricordandoci che anche il lavoro intellettivo ha un risvolto di utilità sociale che non può essere dimenticato così come occorre tenere sempre ben presente che i numeri non sono sterili ma dietro nascondono uomini e donne, vite felici o dolorose, percorsi di mobilità andati a buon fine o tristemente interrotti».