Papa Francesco, un appello per i cristiani perseguitati: «Mobilitate le coscienze»

Il tema delle persecuzioni verso i cristiani nel mondo è stato al centro dell’appello di Papa Francesco a conclusione dell’udienza generale: «Con grande trepidazione seguo le drammatiche vicende dei cristiani che in varie parti del mondo sono perseguitati e uccisi a motivo del loro credo religioso». Il Papa ha espresso la «profonda vicinanza spirituale alle comunità cristiane così duramente colpite da una assurda violenza che non accenna a fermarsi». Quindi ha incoraggiato i pastori di tali comunità ad essere “forti” nella speranza, rivolgendo «un accorato appello a quanti hanno responsabilità politiche a livello locale e internazionale, come pure a tutte le persone di buona volontà, affinché si intraprenda una vasta mobilitazione di coscienze in favore dei cristiani perseguitati». Ciò – ha aggiunto – perché «i cristiani perseguitati hanno diritto di ritrovare nei propri Paesi sicurezza e serenità e di poter professare la propria fede liberamente senza essere perseguitati ‘perché’ cristiani». Dopo aver ricordato che numerosi pellegrini ammalati stavano seguendo l’udienza generale nell’Aula Paolo VI, viste le avverse condizioni metereologiche, il Papa ha invitato tutti a pregare per i cristiani perseguitati nel mondo recitando il Padre Nostro.
«Il Signore continua a pascere il suo gregge attraverso il ministero dei vescovi, coadiuvati dai presbiteri e dai diaconi. È in loro che Gesù si rende presente, nella potenza del suo Spirito, e continua a servire la Chiesa, alimentando in essa la fede, la speranza e la testimonianza della carità». Con queste parole il Papa ha aperto oggi l’udienza generale del mercoledì davanti ad una piazza San Pietro come al solito piena di fedeli. «Questi ministeri costituiscono, quindi, un dono grande del Signore per ogni comunità cristiana e per la Chiesa intera, in quanto sono un segno vivo della sua presenza e del suo amore», ha proseguito chiedendo «cosa viene richiesto a questi ministri della Chiesa, perché possano vivere in modo autentico e fecondo il proprio servizio?». La risposta è stata che vescovi, presbiteri e diaconi anzitutto abbiano delle “prerogative” che «devono essere riconosciute» nel momento in cui vengono «investiti di questi ministeri». Citando le “Lettere pastorali” di Paolo a Timoteo e Tito, il Papa ha detto che «insieme alle doti inerenti la fede e la vita spirituale, vengano elencate alcune qualità squisitamente umane: l’accoglienza, la sobrietà, la pazienza, la mitezza, l’affidabilità, la bontà di cuore. È questo l’alfabeto, la grammatica di base di ogni ministero!».
Il servizio pastorale di vescovi, presbiteri e diacono non è “possibile” – ha proseguito il Papa nell’udienza generale – «senza questa predisposizione bella e genuina a incontrare, a conoscere, a dialogare, ad apprezzare e a relazionarsi con i fratelli in modo rispettoso e sincero». Ma c’è un secondo «atteggiamento di fondo – ha aggiunto – che Paolo raccomanda ai suoi discepoli e, di conseguenza, a tutti coloro che vengono investiti del ministero pastorale». Tale atteggiamento consiste nel tenere «sempre viva la consapevolezza che non si è vescovi, sacerdoti o diaconi perché si è più intelligenti, più bravi e migliori degli altri, ma solo in forza di un dono, un dono d’amore elargito da Dio, nella potenza del suo Spirito, per il bene del suo popolo. Questa consapevolezza è davvero importante e costituisce una grazia da chiedere ogni giorno!». Secondo Papa Francesco, «un Pastore che è cosciente che il proprio ministero scaturisce unicamente dalla misericordia e dal cuore di Dio non potrà mai assumere un atteggiamento autoritario, come se tutti fossero ai suoi piedi e la comunità fosse la sua proprietà, il suo regno personale».
«La consapevolezza che tutto è dono, tutto è grazia, aiuta un Pastore anche a non cadere nella tentazione di porsi al centro dell’attenzione e di confidare soltanto in se stesso», ha proseguito il Papa nell’udienza generale. «Guai se un vescovo, un sacerdote o un diacono pensassero di sapere tutto, di avere sempre la risposta giusta per ogni cosa e di non avere bisogno di nessuno», ha aggiunto. «Al contrario, la coscienza di essere lui per primo oggetto della misericordia e della compassione di Dio – ha notato – deve portare un ministro della Chiesa ad essere sempre umile e comprensivo nei confronti degli altri». Accanto a questa esortazione all’umiltà e semplicità di tratti, Papa Francesco ha poi rivolto un invito ad essere attenti anzitutto ai propri “confratelli”, con queste parole: «Pur nella consapevolezza di essere chiamato a custodire con coraggio il deposito della fede, egli si metterà in ascolto della gente. È cosciente, infatti, di avere sempre qualcosa da imparare, anche da coloro che possono essere ancora lontani dalla fede e dalla Chiesa. Con i propri confratelli, poi, tutto questo deve portare ad assumere un atteggiamento nuovo, improntato alla condivisione, alla corresponsabilità e alla comunione».
Nel corso dell’udienza generale di questa mattina, Papa Francesco ha rivolto un pensiero particolare in spagnolo ai pellegrini messicani: «Voglio in qualche modo esprimere ai messicani qui presenti, e a quelli che sono in patria, la vicinanza in questo momento doloroso, per la ‘legale’ scomparsa – anche se sappiamo assassinati – degli studenti». Con questo evento, ha proseguito, «si rende visibile la realtà drammatica di tutta la criminalità che esiste dietro al commercio e al traffico delle droghe. Sono vicino a voi e alle vostre famiglie». Rivolgendosi poi ai fedeli di Cile e Argentina, il Papa ha ricordato che «in questi giorni commemoriamo il trentesimo anniversario della firma del trattato di pace tra Argentina e Cile. I confini già sono chiari – ha sottolineato -. Non continuiamo a litigare per i confini. Litighiamo per altre cose, ma non per questo! Ma c’è una cosa che vorrei far notare: questo è avvenuto grazie alla volontà di dialogo. Solo quando c’è una volontà di dialogo si risolvono le cose». Quindi ha voluto «elevare un pensiero di gratitudine a San Giovanni Paolo II e al cardinale Samorè, che tanto hanno fatto per ottenere questa pace tra di noi. Speriamo che tutti i popoli in conflitto, di qualsiasi tipo, sia per i confini che culturali, si impegnino a risolverli al tavolo del dialogo e non con la crudeltà di una guerra».