Il rischio dei talenti. La Chiesa non è la balena di Pinocchio

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì» (Vedi Vangelo di Matteo 24, 14-30. Per leggere i testi liturgici di domenica 16 novembre, trentatreesima del tempo ordinario, clicca qui).

Un padrone investe di competenze nuove alcuni suoi dipendenti e se ne va. Il padrone di casa che se ne va è un’immagine che ritroviamo spesso nel Vangelo. E spesso questa immagine allude al Signore che risorge e “torna al Padre”, dunque lascia libera la scena del mondo dove la Chiesa annuncia la pasqua. Questa è un tesoro immenso di cui la Chiesa deve rendere conto al suo Signore. È quello che vuole suggerire l’immagine dei talenti dei quali ci parla la parabola di oggi.

UN VALORE IMMENSO: I TALENTI

La parabola racconta, ancora una volta, una scena di vita quotidiana. Un padrone parte, dunque, per una viaggio e affida i suoi beni ai suoi servi. È un ricco proprietario perché possiede moltissimo. Un talento era pari a 10.000 giornate lavorative di un normale operaio del tempo: oltre 27 anni di lavoro. Nel dare gli incarichi ai suoi servi, dispone di almeno otto talenti: un capitale enorme: quasi il corrispondente in denaro di 220 anni di lavoro. Se poi il padrone parlerà, dopo, di “poco” non lo dirà in rapporto al valore dei talenti in cui il servo è stato fedele, che sono invece tanti; ma è un poco relativo: quello che Dio dà è talmente tanto che tutto diventa poco… Dopo che il padrone è partito, ognuno si dà da fare per impiegare i talenti ricevuti. Il padrone non ha fornito nessuna indicazione. Posto il valore enorme, i primi due servi corrono rischi notevoli, investendoli in attività economiche. Di conseguenza l’atteggiamento del terzo servo che mira a conservare l’enorme tesoro senza rischiare di perderlo non appare strano a un buon senso corrente. Ma la parabola non vuole dare indicazioni economiche su come investire dei beni e il motivo della condanna non riguarda l’uso dei soldi. Perché, se fosse per questo, non ci sarebbero particolari motivi di condanna.

RESPONSABILITÀ

Ma quali sono allora i motivi della condanna e se non si tratta di soldi, di che cosa si tratta? Bisogna cercare di comprendere l’insieme della parabola. Quando Gesù parla ai discepoli, l’uomo che parte per un viaggio è Gesù stesso. E il viaggio è la sua “dipartita” (o il suo “esodo”, come lo chiama Luca) della morte-risurrezione. Egli non è più con i suoi. Questi sono, apparentemente, abbandonati. In realtà sono rimasti loro i beni immensi del Regno verso i quali hanno, quindi, una grande responsabilità perché la morte e la risurrezione del Signore è un evento che riguarda tutti, tutti devono essere messi nella condizione di accettarlo e questo è il compito dei discepoli: diventare gli annunciatori al mondo intero che nella morte e risurrezione di Gesù il mondo si salva («Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra – dirà il Gesù di Matteo, nelle ultime, precise parole del suo vangelo – Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo»).
Quando dunque Matteo scrive il suo vangelo, avviene che alcune comunità, forse stanche di aspettare il Signore che non torna, sono sfiduciate, senza vitalità, si chiudono su se stesse e non si impegnano più. Ora questo, per i discepoli del Signore risorto, è imperdonabile. Non si può aspettare il Signore senza interessarsi a lui, essere i destinatari del Regno senza farlo fruttificare, avere la “Bella Notizia” e non diffonderla. E’ come avere dei tesori immensi – dei talenti – e metterli sotto terra.

NO ALLA CHIESA-GREMBO

La nostra missione di cristiani è un compito, e quindi deve affrontare necessariamente delle difficoltà. La Chiesa nel suo insieme, di conseguenza, deve essere una comunità dinamica che non si lascia colpevolmente cadere nel sonno. La fede stessa non è un grembo materno, ma è un mare o un campo aperto: il Signore ci consegna il tesoro che va a sua volta consegnato, lascia la scena libera e assegna a noi la nostre responsabilità. Di fronte a questa prospettiva noi siamo, talvolta, come Giona o come Pinocchio, prima di essere gettati fuori dalla balena. Ci sono dei cristiani che amano la protezione della panciona della Chiesa-grembo e non i rischi della terra ferma, dove avviene la storia degli uomini: lì Ninive aspetta e lì, finalmente, Pinocchio diventerà bambino. Non è nella pancia della balena che si fa il “mestiere” di uomini e non è lì che si annuncia il Vangelo.