Ragazzi, attenti a Internet: le relazioni “senza corpo” fanno dimenticare le emozioni

Un nuovo record è stato raggiunto in questi giorni: tre miliardi di persone sono connesse a Internet, il 40% degli abitanti della Terra. Internet si sta rivelando una delle innovazioni tecnologiche con un tasso di diffusione più rapido della storia. «Sì, se questo accade per certi aspetti se lo merita. Noi dobbiamo soltanto stare attenti agli effetti collaterali di questa evoluzione un po’ troppo veloce» è quanto afferma professore Federico Tonioni, ricercatore universitario per il settore scientifico-disciplinare di psichiatria e dirigente medico presso il Day Hospital di Psichiatria e Tossicodipendenze del Policlinico Gemelli. Coordinatore dell’Ambulatorio Internet Addiction Disorders del Policlinico Gemelli di Roma, ambulatorio d’avanguardia a livello europeo e mondiale, (“dal 2009, abbiamo visto oltre 700 pazienti tra dipendenza da Internet e fenomeni legati al cyberbullismo”), Tonioni chiarisce cosa sono le “nuove dipendenze”, partendo proprio dalla definizione di Internet Addiction Disorder, noto anche come I.A.D. «Si intende la dipendenza da Internet ed è una definizione tipicamente americana inventata dalla psicologa Kimbery Young che ha fondato il Center for Online Addiction. Per la Young, la dipendenza da Internet comprende: il gioco patologico, la dipendenza da social network, la dipendenza da siti per adulti, la dipendenza da giochi d’azzardo on line e riguarda infine tutte quelle persone che cercano, senza un fine, qualsiasi tipo di notizia su Internet. La nostra esperienza è stata diversa, non abbiamo seguito questa suddivisione, perché abbiamo notato che vi è una separazione netta nei pazienti tra adulti e giovani. Negli adulti si configura la dipendenza da Internet proprio come una dipendenza patologica, nei giovani è più un nuovo modo di pensare e comunicare anche perché diagnosi di dipendenza in adolescenza non si fa», il professore è convinto che ogni dipendenza patologica nasconda sempre un’angoscia più profonda. Ciascuno di noi è a rischio, perché Internet ha rivoluzionato la comunicazione dando vita a una rete di contatti globale accessibile a tutti. Una «integrazione della nostra realtà» che rischia di diventare un mondo parallelo che sottrae tempo alle relazioni vissute in famiglia. Qui scatta l’allarme dei genitori che capiscono che il loro figlio trova difficoltà ad avere relazioni in un mondo reale. I cosiddetti “dipendenti da web” sono in misura maggiore gli uomini (70%) e sono legati alla frequentazione di siti per adulti come il gioco d’azzardo on line. Le donne (30%) hanno un’attitudine ai social network. Prosegue Tonioni: «Gli adolescenti non hanno un tema preciso su Internet. Bisogna analizzare la natura delle relazioni on line che sono particolari, perché sono reali, però non sono intere, nel senso che non avvengono a portata di contatto fisico. La comunicazione non verbale, che passa sempre per il corpo, in qualche modo è inficiata. Basti pensare che due ragazzini che chattano tra loro anche vedendosi con una webcam, pur parlando di argomenti sensibili non diventano rossi. Ciò vuol dire che le emozioni sono avvertite ma non sono manifestate all’altro. La comunicazione non verbale è l’essenza, è la parte più importante della comunicazione, quindi la comunicazione on line è reale, però non sono comunicazioni intere, perché il corpo non c’è. Non ci si può fare un’impressione dell’altro, non si può fare a livello sensoriale, fisico, perché non si è appunto a portata di contatto fisico. Questo è tipico degli adolescenti, che nascono con questo tipo di comunicazione e non conoscono, non hanno mai conosciuto “un prima” del computer. Infatti, sono “nativi digitali”. In adolescenza le emozioni sono evitate più che vissute».

CONNESSE OLTRE IL 61% DELLE FAMIGLIE

Più del 61% delle famiglie italiane ha accesso a Internet. La rete spalanca molte porte ma i rischi sono tanti e diversi: giochi di ruolo online, cyber-relazioni, chat mania, cyber pornografia. «Certo, le relazioni on line possono confondere di più non essendo a portata di contatto fisico, tendiamo a rappresentarci all’altro come non siamo. Nelle chat e nei social network rappresentiamo un’immagine di noi che poi spesso a qualsiasi livello non riusciamo a presentare dal vivo. Capita a tanti adulti di avere relazioni on line che poi quando vengono portate nella realtà, dal vivo diventano subito un’altra cosa. I miei pazienti mi dicono “è come ricominciare da capo”. Proprio perché i corpi non comunicano e la sensorialità non si attiva. Invece nei ragazzini i giochi di ruolo hanno una funzione catartica rispetto all’aggressività». Secondo un’indagine condotta da Skuola.net in collaborazione con la Polizia Postale, 1 ragazzo su 3 è sempre connesso. Con 21 milioni di utenti l’Italia si classifica in testa ai Paesi con maggiore dipendenza da Facebook, adolescenti inclusi. Quasi 9 italiani su 10 sono frequentatori del social. Domandiamo a Tonioni quale azione di contrasto il sistema dei media, la famiglia, la scuola, la Chiesa cattolica e il servizio sanitario nazionale possono e devono svolgere. La risposta del Prof. è chiara: «Credo che i social network non siano nocivi di per sé, il punto è mettere come genitori, come adulti dei limiti. I limiti creano conflitti e non assenza genitoriale. Il conflitto secondo me è uno dei modi più autentici per comunicare con gli adolescenti. Il social network non è il demonio, non è nocivo di per sé, può essere una risorsa. Del resto anche la Chiesa lo usa per evangelizzare. Grazie a Internet e alla comunicazione on line sappiamo delle cose che mai avremmo saputo prima. La differenza sta nel come si usa. Non è importante quanto si resta connessi ma il ritiro sociale che ne consegue, ovvero ci si ammala su Internet se si comincia a non uscire più di casa». Quindi il campanello d’allarme scatta se si esce meno di casa, se si resta “incollati” al PC più del tempo necessario, quando diventa appunto una dipendenza. Nel saggio presente nel volume Internet-Patia edito dall’Aiart, (Associazione Spettatori AIART, acronimo di Associazione Italiana Ascoltatori Radio e Televisione, www.aiart.org ONLUS fondata nel 1954 per iniziativa dell’Azione Cattolica), Tonioni ha dimostrato che la dipendenza dal web è un fatto confermato da dati reali ma ha anche sottolineato che «Internet è una risorsa che prima non avevamo. Tuttora quando immaginiamo il futuro dei nostri figli pensiamo a un lavoro connesso a Internet. Non dimentichiamo che Internet l’abbiamo inventato noi adulti, i bambini l’hanno abitato».

CORSI DI FORMAZIONE A BERGAMO CON L’AIART

L’AIART opera anche a Bergamo «realtà molto piccola, anche se pienamente operativa da una decina di anni. Alla base della nostra azione associativa stanno alcune convinzioni di fondo: le comunicazioni di massa svolgono un ruolo centrale nella società post-moderna in cui viviamo, pertanto esse sono da un lato un’opportunità di grande valore, dall’altra possono essere asservite a finalità contrarie alla dignità integrale e alla libertà dell’uomo. Per questo agiamo sia sul piano della ricerca e della concreta proposta formativa, sia su quello della tutela e del contrasto, quando necessario», spiega Stefano Gaeta, referente provinciale AIART, docente statale e collaboratore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. «A Bergamo siamo veramente pochi e l’attività si sostanzia in corsi e conferenze tenuti da me, anche per le mie competenze nel campo delle tecnologie dell’educazione e in campo giuridico, essendo laureato in Scienze dell’educazione e in Scienze giuridiche e lavorando da anni nel campo. Talvolta nelle conferenze collabora qualche altra persona, per lo più giovani, soprattutto per testimoniare il punto di vista dei cosiddetti “nativi digitali”, potenziali protagonisti del web, ma anche spesso vittime di dinamiche governate da grandi interessi economici». Dal 2003 Gaeta propone corsi o semplici serate di approfondimento in realtà pubbliche (scuole, Comuni) e private (Parrocchie, associazioni). «Fino a pochi anni fa l’interesse è stato però scarso, fortunatamente con qualche eccezione. I nostri temi erano considerati interessanti ma secondari rispetto ad altri. Non si era ancora diffusa la percezione, da parte di genitori e educatori, dell’impatto profondo e dei punti problematici che le comunicazioni di massa stanno avendo nella cultura della nostra società e nella formazione dei nostri ragazzi. Per fortuna qualcosa sta cambiando. La presa d’atto dell’invasività dei social network e la maggiore consapevolezza critica della sempre maggiore strumentalità politica dei mezzi classici, hanno aumentato l’interesse verso un presidio culturale, formativo e normativo del settore. Così negli ultimi due anni sono leggermente aumentate le richieste di condivisioni su questi temi, come anche questa intervista testimonia». La tutela dei minori è sempre un argomento all’ordine del giorno e particolarmente delicato specialmente oggi con la larga diffusione degli smartphone e degli iPad. Chiediamo a Gaeta quali sono le iniziative dell’AIART nel settore e quali consigli dare ai genitori e agli educatori sempre più in ansia. Al che ci risponde: «La formazione è sempre presente, sia a livello locale sia con iniziative nazionali rivolte alla scuola e si fonda poi su una vasta attività di ricerca in collaborazione con alcune Università, come La Sapienza di Roma e la Cattolica di Milano. Tuttavia l’AIART non si limita ad agire sul piano culturale e si presenta come vero soggetto di pressione politica, tramite raccolte di firme per leggi di iniziativa popolare, presenza in organismi di controllo, come i Co.Re.Com, segnalazione e denuncia di infrazioni delle norme che regolano le trasmissioni televisive e la comunicazione nel Web. Ai genitori e agli educatori dico personalmente di non credere che i ragazzi possano gestire da soli tali esperienze. Il fatto di essere più pronti ad apprendere l’uso dei nuovi Media non li rende automaticamente più consapevoli di tutti le variabili in gioco. Il “sapere che e come” non sostituisce mai da solo la “sapienza” come capacità di sentire il sapore qualitativo della realtà. L’adulto non deve rinunciare alla differenza generazionale sana, non deve cadere in quella che qualcuno ha chiamato la “sindrome di Peter Pan”, dell’eterna adolescenza, per cui l’adulto non vuole sembrare antiquato e superato. Certamente quindi, da un lato egli deve fare uno sforzo di apprendimento verso le nuove tecnologie, perché, come disse un mio illustre compaesano, “gli esami non finiscono mai”. Tuttavia occorre anche non cadere nella trappola retorica del nuovo e del giovanilismo, perché spesso nasconde solo interessi vecchi come il mondo. E soprattutto non è quello che ci chiedono in nostri figli».

Infine, nonostante alcune zone d’ombra che sono sotto gli occhi di tutti e necessitano di una tutela, per il prof. Tonioni resta sempre valido quello che disse nel 2009 Rita Levi Montalcini quando compì un secolo di vita: “La più grande invenzione del Novecento? E me lo chiede? Internet!”. «Bisogna avere fiducia nei giovani anche perché con l’esempio che gli abbiamo dato non possono venire peggio di noi. Se fossi un adolescente avrei difficoltà a capire in cosa mi devo identificare. Non abbiamo dato il buon esempio ai nostri figli. C’è un assenza di valori cui abbiamo contribuito. Non dimentichiamo che il ruolo dell’immagine che tanto critichiamo nei nostri figli è stato protagonista delle più importanti dinamiche sociali e politiche degli ultimi decenni. Facciamo i conti con quello che abbiamo seminato. Direi infine di fidarsi dei giovani».