Storia di una giovane precaria, a vent’anni cassiera a tempo determinato

L’idea è questa: la Repubblica Italiana è fondata sul lavoro, il lavoro deve essere disponibile quindi per tutti gli italiani. Nel lavoro c’è la dignità e l’identità di una persona. Lo dice anche la Costituzione. Ci sono molti casi però in cui questo non avviene: in cui non ci sono possibilità d’impiego, e se ci sono non offrono sicurezza, né soddisfazione.
Avviene così per il precariato: poche o nessuna tutela in caso di malattia o di incidenti sul lavoro, niente ferie, e si rischia sempre di essere lasciati a casa. E dopo, ogni volta è una lotteria: bisogna avere il tempismo giusto, il conoscente giusto, l’esperienza giusta e chi ne ha più ne metta, dal carattere all’aspetto fisico.

Se fai un lavoro che non ti piace, in Italia, lo tieni. Anche se hai un lavoro precario, faticoso e una retribuzione minima. Ho conosciuto una ragazza, che ha 20 anni e tanta voglia di lavorare per poter nutrire se stessa e i suoi sogni di indipendenza. Sì perché anche l’indipendenza è diventata un sogno ai giorni nostri: se non hai un lavoro figuriamoci una casa. Mi ha raccontato la sua storia, da quando ha concluso il ciclo di studi di tre anni all’alberghiero ISB di Torre Boldone alla sua vita da cassiera precaria in un supermercato. Il diploma non le permetteva di continuare gli studi all’università, aveva seguito un corso aggiuntivo di un anno nello stesso istituto (che non valeva comunque come diploma delle superiori) ma non è riuscita a fare l’esame finale per problemi di salute, perciò per poter ottenere un vero diploma avrebbe dovuto studiare per altri due anni in un altro istituto. Così ha deciso per il momento di curarsi e cercare lavoro. Ha lavorato in un spazio bimbi per alcuni mesi con un contratto a chiamata, solamente i fine settimana ma volte anche in altri giorni. Dopodiché in un bar coprendo alcuni turni perché serviva personale e l’hanno pagata con dei voucher. In seguito ha trovato lavoro nel periodo natalizio in un cinema di Bergamo con un contratto di circa 600 euro per tre settimane, lavorando anche più di otto ore, compresi i fine settimana, fino a tardi la sera.
Da circa sei mesi ha trovato lavoro in questo supermercato. Portando il curriculum e dopo un colloquio ha firmato un contratto da stagista per 400 euro al mese, finanziato in parte dallo stato. È un rimborso spese part-time, ossia per 4 ore al giorno, non una busta paga.
Per quanto riguarda le tutele quando è stata male per l’influenza a ottobre le è stato permesso di restare a casa senza conseguenze, come gli altri lavoratori con contratti a tempo indeterminato. Per sei mesi ha avuto orari e turni sempre diversi, con una giornata di riposo circa ogni settimana (a seconda dei turni). Altro punto importante che da contratto per lo stage è vietato avere un altro lavoro oltre a questo, altrimenti si viene automaticamente licenziati.
I sei mesi stanno per scadere e le voci dicono che il supermercato sia in crisi, e che quindi probabilmente la lasceranno a casa. Lei è triste anche perché non vuole perdere il lavoro, anche se con quello non può, in queste condizioni, costruirsi un futuro, anche se basta appena per pagarsi le medicine e mangiare. Dentro di me continuo a pensare: la Repubblica Italiana è fondata sul lavoro…

La foto è di Miriam Ferri