La testimonianza mite e forte del Vangelo. Le parole forti Papa circa la falsa compassione

Il Papa nel discorso rivolto all’Associazione medici cattolici italiani in occasione del settantesimo anniversario della Fondazione ha detto che la compassione verso chi chiede aborto e eutanasia è una falsa compassione e ha esortato i medici cattolici, quando necessario, al l’obiezione di coscienza.  Dunque il cristiano non deve avere misericordia a oltranza. A un certo punto deve “resistere”. Dal tuo punto di vista di monaca, mi puoi dare qualche altro esempio in cui il cristiano deve “resistere”, in cui deve dire dei no? Grazie. Lucio

La tua domanda, caro Lucio, è impegnativa e molto stimolante. Accenno ad alcune suggestioni che meriterebbero ulteriori approfondimenti e spazi di riflessione. Il cristiano è portatore di una ricchezza umana e spirituale che deve fecondare la storia attraverso la sua presenza attiva e responsabile. Ciò che dà forma alla sua testimonianza è l’opzione fondamentale che deve vivere rispetto alla propria fede in Gesù Cristo morto e risorto, alla sua sequela, dentro uno stile di vita credente che si declina nel quotidiano adempimento della propria vocazione e missione. Il riferimento primo e ultimo del suo pensare e agire è il Signore Gesù e il suo Vangelo. Al cristiano spetta l’opera paziente della fede incarnata nel tempo e nella storia perché risplenda la bellezza e lo splendore del Vangelo. Tale testimonianza, se vera e credibile, diviene segno di contraddizione per il mondo, annuncio di quei valori fondanti la fede che si “scontrano” con il pensare comune.

IL CORAGGIO DELL’ANNUNCIO

La cultura dominante infatti, contrassegnata dal pensiero liquido, dal relativismo e da un soggettivismo esasperato, è lo spazio e il tempo della testimonianza nel quale il credente è chiamato anche a “resistere”, a portare una “parola altra”, a dire dei “sì” e dei “no” chiari, che annunciano una verità scomoda e che pongono dei segni inequivocabili sul valore della dignità dell’uomo, della vita, della famiglia, della pace. Il pensiero corrente propone un livellamento su tutte le questioni che riguardano la vita, l’amore, l’educazione, in nome della libertà di espressione o dell’accettazione della diversità. Occorre riconoscere che la vita è sacra e inviolabile e sempre di qualità, come dice il Papa, ma altrettanto smascherare quelle false compassioni che giustificano ogni scelta e legittimano variegate sfumature di individualismo. La persona rimane il centro della cura e della prossimità, ma ad essa va annunciato con coraggio la verità e il bene per sé e per la comunità. In nome del pluralismo non si ha più il coraggio di un annuncio evangelico efficace e coinvolgente: esso deve accogliere e rispettare le diversità e le ricchezze, ma non può tacere le convinzioni di maggioranze credenti o ignorare la ricchezza delle diverse tradizioni e dei valori religiosi. Il cristianesimo, nel nostro mondo occidentale, ha perso la sua valenza profetica di testimonianza che i martiri di oggi continuano a narrarci con la loro vita offerta per il Vangelo.

SIAMO ANCORA SALE DELLA TERRA?

Siamo ancora chiamati ad essere sale della terra e lievito di vita per il mondo, ma sappiamo impreziosire di vita nuova il nostro quotidiano, le scelte piccole e grandi che siamo chiamate a realizzare?   Quale spazio di “resistenza” offriamo alla mentalità mondana che alberga nei nostri ambienti a volte rivestiti di parvenza religiosa, ma privi di una qualsiasi radicalità e significatività evangelica? Abbiamo il coraggio e la forza dell’onestà e della rettitudine, del chiamare per nome il bene e il male, il peccato e la grazia? Forse è giunto il tempo di una resistenza feriale, che non teme di testimoniare la croce di Cristo lì dove viviamo, soffriamo e amiamo. E’ giunto il tempo che i credenti sappiano dire con coraggio e franchezza parole sapienti sulla vita e sull’amore, uscire dal qualunquismo e dalla insignificanza, consapevoli di essere “minoranza”, un piccolo gregge chiamato alla sequela del Signore, dentro un mondo che ha ancora i tratti della bontà e bellezza del suo Creatore. Essi possono essere coscienza critica di fronte alle scelte o alle proposte che sfigurano la bellezza dell’umano e la dignità filiale inscritta da Dio in ogni uomo. Non si tratta di fare guerre o crociate, ma di essere quel popolo di Dio, felice della sua elezione, chiamato a essere custode dell’umano. Uomini e donne forti della mitezza del Vangelo, un esercito di “pacifici” che scelgono la via del dialogo, della tenace perseveranza nel vivere e annunciare i valori fondanti la vita; che si riappropriano della capacità critica e riflessiva e creano percorsi di maturazione che umanizzano la storia e creano fratellanza. La sfida è grande e rimane aperta per ciascuno e per tutti, per i singoli e le comunità: il dono del Vangelo necessita di un nuovo slancio missionario e di una nuova opera di inculturazione, di credenti che sappiano “pagare di persona”per la fede creduta e vissuta e continuino a collaborare con Dio nel realizzare il suo Regno, nella certezza che Lui è con noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo.