Il Buon Samaritano. Vangelo e politica

Foto: don Tonino Bello, già vescovo di Molfetta (1935-1993)

Ho avuto il dono, un giorno, di intervistare don Tonino Bello, l’indimenticato vescovo di Molfetta, per anni presidente di Pax Christi. Un dialogo franco e a tutto campo, pochi mesi prima della morte avvenuta il 20 aprile del 1993. Tra le molte questioni poste, gli chiesi se non gli dava fastidio essere considerato un vescovo “anomalo”. Don Tonino era diventato infatti familiare per una serie di gesti “normali” per un cristiano delle origini ma che, nella tiepidezza del tempo presente, hanno corso il rischio di essere letti e interpretati come “scandalosi” e “inopportuni” per un credente, soprattutto se vescovo. Alla domanda mi rispose di no. E’ che «bisogna poi vedere che cosa significa essere anomalo. Introdurre in casa i poveri per farli dormire d’inverno, è anomalo per un vescovo, o non è anomalo il contrario? Accogliere in episcopio alcune famiglie di sfrattati è anomalo per un vescovo o non è anomalo il suo contrario?». Insomma, diceva don Tonino, se prendiamo il Vangelo come criterio di scelta e di verifica di ciò che facciamo, è un conto, se prendiamo il buon senso, è un altro. Gli chiesi allora se questa scelta di testimonianza non togliesse valore all’azione politica. Non mi lasciò finire: «No, no! Per noi cristiani il problema è avere occhi nuovi per leggere il presente. Ma commuoversi non basta. Occorre risalire alle cause ultime: solo in questo modo si rende sterile l’utero sempre gravido che genera i mostri delle nuove povertà. Io non risolvo il problema degli sfrattati ospitando famiglie in vescovado. Non spetta a me farlo, spetta alle istituzioni: però io ho posto un segno di condivisione che alla gente deve indicare traiettorie nuove, insinuare qualche scrupolo come un sassolino nella scarpa». Non a caso, tra le parabole del Vangelo, don Tonino aveva cara soprattutto quella del buon samaritano. Era la sua icona. Vi faceva spesso riferimento e la elaborava, con la fantasia che gli era propria, per adattarla alle esigenze del momento e dei suoi interlocutori.

IL SAMARITANO DELL’ORA PRIMA

La tipologia del samaritano di fronte al viandante malconcio, spiegava, può essere di tre tipi. C’è il samaritano dell’ora giusta, quello «del pronto soccorso, dell’assistenza immediata, delle cure ambulatoriali». È quello che nel racconto evangelico di Luca è espresso con due atteggiamenti: «Ne ebbe compassione e gli si fece vicino». Poi c’è il samaritano che don Tonino chiama dell’ora dopo: quello che si prende cura del poveretto, lo porta in una locanda, lo affida all’oste perché lo curi. «Non manca nulla», diceva, «a quello che potremmo chiamare “progetto globale di risanamento”». Infine c’è l’intervento dell’ora prima, non registrato dal Vangelo, ma che don Tonino ipotizzava così: «Se il samaritano fosse giunto un’ora prima sulla strada, forse l’aggressione non sarebbe stata consumata». Di qui, diceva al politico, ma la predica era per tutti, laici e religiosi: «È necessario che egli ami prevenendo i bisogni futuri, pronosticando le urgenze di domani, intuendo i venti in arrivo, giocando d’anticipo sulle emergenze collettive».

DENTRO LA TERZA GUERRA MONDIALE

Le parole di don Tonino mi sono tornate in mente in questi giorni mentre leggevo le cronache di quanto successo nella periferia romana. E’ difficile non rimanere colpiti dalla rabbia espressa dai residenti. In modi diversi, hanno denunciato di sentirsi «stranieri a casa, circondati da immigrati, nomadi, trans, russi e altri di tutte le etnie» e hanno chiesto al sindaco Marino, contestato nella sua visita, di «mandare via i trans e sgomberare i locali occupati dai cittadini romeni che vivono nei sottoscala pagando l’affitto in nero». C’è un disagio sociale sempre più profondo, alimentato da una crisi di cui, a distanza oramai di sei anni dall’inizio, non si vede termine. Un disagio con il quale faremo sempre più i conti. Tutti. Non solo le persone che vivono nelle periferie. Un disagio che esprime un vuoto di politica, un’incapacità, protratta nel tempo, di accompagnare i cambiamenti avvenuti. Un disagio che va preso sul serio (anche da noi che pure, per il momento, siamo immuni da quelle vicende), che rende evidente quanto più volte affermato da papa Francesco e cioè che siamo oramai entrati in una specie di “terza guerra mondiale”. E, quasi sicuramente, saremo “invasi”. Non più da Est, come ho spiegato a mia figlia in questi giorni che sta studiando l’arrivo dei Longobardi in Italia, ma da Sud. Da lì saremo invasi. Come scrive don Nicolini: «Il vero male è che gli invasori di oggi non sono i barbari, ma i poveri! Noi non saremo né la volontà né la capacità di promuovere al di là del mare condizioni nuove e migliori di vita per tutti. E dovremo decidere come e che cosa fare. Su questo è importante riflettere. E, se si può, pregare».

VANGELO E POLITICA

Insomma, la lezione di don Tonino resta fondamentale. Vangelo e politica. Fraternità e sguardo lungo. Coerenza di vita e laicità. Testimonianza e costruzione, nella città di tutti che sarà sempre più plurale e complessa, di luoghi dove dare e ridare dignità ai brandelli di vita che la attraversano. Non c’è altro futuro.