Giorgio Ambrosoli, in tv la storia di un eroe borghese. Il ricordo del figlio Umberto

“Qualsiasi cosa succeda. Giorgio Ambrosoli una storia vera” il film tv in due puntate sulla vita del commissario liquidatore della Banca Privata Italiana assassinato sotto casa a Milano la notte tra l’11 e il 12 luglio 1979 da un killer di mafia, sarà trasmesso in prima serata su Rai Uno l’1 e il 2 dicembre. La miniserie è tratta dal libro “Qualunque cosa succeda. Giorgio Ambrosoli oggi, nelle parole del figlio” edito da Sironi (Prima edizione 2009, Seconda edizione 2014) scritto dal figlio Umberto.
«Quando papà è stato assassinato, non avevo ancora otto anni. Tuttavia la sua serenità mi è ben chiara nella mente: penso che derivasse dalla consapevolezza del fatto che ciò che stava facendo (per quanto probabilmente a lui fatale) era ciò che riteneva giusto», ha dichiarato Umberto Ambrosoli, avvocato e politico. “Un eroe borghese” così Corrado Stajano nel suo libro aveva definito Giorgio Ambrosoli. Eroe perché decise di fare quello che altri avevano rifiutato, accettando “l’opportunità di fare qualcosa per il Paese”. «Quel titolo è bellissimo, nei tanti significati che Stajano ha ben espresso nel suo libro – puntualizza Ambrosoli, classe 1971 sposato, tre figli – Questa storia ci avvicina a una dimensione umana di eroe: cioè colloca alla portata di ciascuno di noi la potenzialità di quelle scelte. E ciò in un’epoca nella quale sembra prevalere lo sconforto, la rinuncia, la rassegnazione, anche nella forma della delega. Anche allora era così ma questa vicenda ci dimostra che anche quegli umani sentimenti possono essere sconfitti».
All’anteprima della miniserie Rai, il Presidente Napolitano ha definito suo padre “un esempio per l’Italia. È una di quelle persone cui non si può non essere profondamente grati, come a tutti quelli che non solo hanno combattuto ma che hanno sacrificato la vita per la legalità e la libertà”. Cosa ne pensa?
«Abbiamo bisogno di esempi: di persone che con il loro vissuto ci ricordino come sia possibile rispondere alla propria responsabilità, vivere la propria vita e non quella di chi (con la minaccia, la corruzione, la blandizia, ecc…) vuole impossessarsene, agire per il bene. L’esempio di papà è questo. E non è certo il solo in Italia».
“… Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto (…). Abbiano coscienza dei lori doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il Paese, si chiami Italia o si chiami Europa”. Cosa dice questa lettera-testamento del 25 febbraio 1975 della personalità di suo padre, che sarà assassinato sotto casa la notte tra l’11 e il 12 luglio 1979 da un killer di mafia?
«A me di quelle parole colpisce la dimensione pedagogica: l’idea di affidare a mia madre in esclusiva l’educazione dei figli che loro avevano chiamato alla vita, e in quell’affidamento, la condivisione degli insegnamenti fondamentali, nei quali talmente tanto papà credeva (con mia madre) da interpretarli direttamente in quel momento della sua vita: senza cedimenti, né mediazioni, né ipocrisie che gli avrebbero salvato la vita».
Ha seguito alcune fasi di realizzazione e ha visto in anteprima il film tv. Il regista Alberto Negrin e lo sceneggiatore Andrea Porporati hanno saputo rievocare il clima che si respirava nel nostro Paese, l’Italia degli “anni di piombo”, nella quale “un certo mondo politico era legato a un determinato modo di fare finanza, il tutto a servizio o comunque a vantaggio della realtà mafiosa”?
«Ho assistito solo alle riprese effettuate presso il Palazzo di Giustizia di Milano. Certo le due puntate richiamano anche –in più punti- il clima politico di quegli anni per la parte che riguarda eversione e terrorismo, tuttavia la storia è rivolta principalmente (differenziandosi rispetto ad altre ricostruzioni) la dimensione umana e familiare. La vicenda sulla quale papà “investigava” è ben semplificata: nei personaggi e nelle dinamiche, ma è resa con straordinaria efficacia, rimando fedele ai fatti storici. Anche il contributo di Maurizio De Luca –da cronista testimone di ogni ganglo della vicenda narrata – alla sceneggiatura ha permesso di legare i fatti storici alla “finzione” tv. Teniamo a mente una grossa difficoltà con la quale gli sceneggiatori hanno dovuto fare i conti. Mentre per chi ha vissuto quegli anni, banalmente, ogni singolo nome, evoca un insieme di situazioni, per chi si avvicina oggi a quella storia, il nome “Andreotti” non indica … la complessità di quella figura».
Piergiorgio Favino interpreta Giorgio Ambrosoli e il suo difficile lavoro di commissario unico liquidatore della Banca Privata Italiana di Michele Sindona oberata di debiti. Per l’attore “la sfida più grande è stata non cadere nella retorica dell’uomo tutto d’un pezzo. La complessità di una persona è fatta dalla sua dimensione pubblica e da quella privata, dalle sue tante sfaccettature”. È d’accordo?
«Penso che Pierfrancesco Favino abbia vinto quella sfida. Si è dimostrato un Professionista con la p maiuscola. Durante quel piccolissimo segmento di riprese alle quali ho assistito, ho visto la sua ricerca della perfezione, non manieristica, ma proprio sostanziale: nella dimensione della profondità umana».
Anita Caprioli interpreta sua madre Annalori, Andrea Gherpelli il maresciallo Silvio Novembre, Giovanni Esposito Giulio Andreotti, Massimo Popolizio Michele Sindona, Roberto Herlitzka Enrico Cuccia, Claudio Bigagli Licio Gelli, Emilio Bonucci Guido Carli. Quale di questi personaggi l’ha colpita maggiormente per la sua verosimiglianza?
«Bisogna fare una premessa: questa miniserie si rivolge a chi quella storia non ha vissuto, né l’ha incontrata nella propria formazione. Da questo punto di vista la somiglianza “estetica” rileva assai poco. Tuttavia i personaggi di Cuccia e di Andreotti (che appare anche “in originale”) sono riproposti con una fedeltà anche esteriore che colpisce molto».
Vuole ricordare ai nostri lettori chi è Silvio Novembre?
«Silvio è una bellissima persona, un fedele servitore dello Stato, un uomo con un senso di responsabilità pieno. Non aggiungo altro solo per permettere a chi leggerà questo nostro dialogo di… scoprirlo nella visione di “Qualunque cosa succeda”, di farlo proprio senza filtri».
Sia nel libro sia nella miniserie emerge “la storia di un uomo che conduceva una vita normale”, la dimensione familiare, l’Ambrosoli privato. Lei in passato ha detto: “Il ricordo che ho di lui è quello di una persona serena”. Ce ne vuole parlare brevemente?
«Una persona che lo ha incontrato negli ultimi giorni della sua vita mi ha raccontato che, invitatolo a lasciare perdere, a salvarsi la vita, magari dimettendosi, s’è sentito rispondere: “Io non voglio insegnare ai miei figli a non fare ciò che reputano giusto per paura”. Quando dicevo del significato pedagogico del suo esempio, anche proprio rivolto ai suoi figli, dicevo anche questo. Papà aveva la serenità di chi poteva guardare i propri figli negli occhi senza vergognarsi».
Nella prefazione del libro, il Presidente Ciampi riferendosi a Suo padre cita una frase di Orazio “Non omnis moriar”, “Non morirò interamente”. Non crede che l’impegno militante per l’affermazione dei valori dell’onestà, dell’assunzione di responsabilità e dell’adempimento del dovere” di questo “eroe borghese” sia ancora straordinariamente attuale?
«È un’attualità che dobbiamo saper cogliere: con l’impegno quotidiano, non a parole».