Il Battista. Alla ricerca delle tracce di Dio

Immagine: il Battista, particolare della Crocifissione di Matthias Grünewald, Museo di Unterlinden, Colmar

Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui. (Vedi al Vangelo di Giovanni 1, 6-8.19-28. Per leggere i testi liturgici di domenica 13 dicembre,  terza di Avvento “B”, clicca qui)

«Il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri». La bibbia dice che il Messia è consacrato da Dio. La consacrazione avveniva con l’unzione. Per questo il termine Messia o il termine corrispondente, Cristo, significano “unto”: consacrato. È la grande questione di oggi: che cosa significa che Gesù è il Cristo? La questione viene posta al Battista che, quindi, è ancora una volta, protagonista.

IL BATTISTA, L’ANNUNCIATORE CHE SI FA DA PARTE

Il vangelo di questa terza domenica di Avvento in trova in quello che si chiama il “prologo” del vangelo di Giovanni, l’introduzione: è un inno di straordinaria solennità nel quale l’evangelista anticipa i grandi temi del suo vangelo. È come l’ouverture di un’opera musicale: vi si trovano le melodie che poi ritorneranno lungo tutta l’opera. Giovanni ha iniziato dicendo che «In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio». Parla, cioè di Gesù che era presso Dio, era la sua Parola, era Dio lui stesso. Poi lui, la Parola, si fa carne. Alla sua venuta gli uomini si dividono fra gli uomini della luce che accolgono e gli uomini delle tenebre che rifiutano. Ma la venuta del Verbo e l’incarnazione erano state preannunciate da un uomo, mandato da Dio «e il suo nome era Giovanni». Così comincia il vangelo di oggi.
Assistiamo, ancora una volta, a un profondo contrasto. Giovanni dona la sua testimonianza. I soliti tutori dell’ortodossia vanno da lui e gli chiedono e il Battista risponde con straordinaria onestà. La sua identità è definita da due dichiarazioni: «Io non sono», «Io sono». «Io non sono il Cristo», dice. E, per contro «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaia», aggiunge. Ma, per i suoi interlocutori, la sua identità non è ancora chiara. La gente, in quegli anni di grandi attese, aspettava il ritorno di Elia, il più grande dei profeti che, racconta la bibbia, era stato rapito in cielo su un carro di fuoco. Elia non è morto: dunque tornerà. Ma allora: tu Battista sei Elia redivivo? Quando un profeta risultava non essere Elia, doveva dichiarare di essere un profeta, comunque. Lo stesso Gesù era ritenuto tale. Giovanni dice di non essere nulla di tutto questo: né il Messia, né Elia, né un profeta. La sua identità sta tutta nell’attesa di quell’Altro che deve arrivare e il suo stesso battesimo è un battesimo di penitenza in attesa, appunto, di «uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non son degno di slegare il legaccio del sandalo».

ALLA SCOPERTA DELLE TRACCE

Abbiamo bisogno di segni e di testimoni. Colui che è in mezzo a noi è ancora sconosciuto. Gesù resta il grande sconosciuto, infatti. Il nostro impegno a cercarlo deve partire proprio da questo: non so chi è e quindi devo cercarlo senza mai stancarmi. Noi cristiani, infatti, possiamo definirci come gli instancabili ricercatori delle tracce di Dio. Noi non godiamo la vista di Dio, infatti, ma intuiamo la sua presenza grazie alle tracce che egli ci lascia. Tracce labili che devono essere decifrate: una gioia, un evento importante della vita, una serata piena con gli amci, il figlio che raggiunge un traguardo importante… Tracce più vistose: i fratelli nella fede, i cristiani buoni che il Signore dissemina sulla mia vita… Tracce evidenti: la Parola di Dio, i segni che lui ci ha lasciato proprio perché lo trovassimo. L’Avvento potrebbe essere visto come un periodo di intenso allenamento per non perdere il gusto di vedere e di gustare le tracce di Dio nella nostra vita.