Le nuove forme della schiavitù. La forte denuncia di Papa Francesco

“Non più schiavi, ma fratelli”: questo lo splendido slogan rilanciato dal Papa nel messaggio alla 48esima giornata mondiale della Pace.

LA SCHIAVITÙ È STATA ABOLITA

Ma perché tirare fuori la schiavitù, dirà qualcuno? Non è stata forse abolita? Sì certo, formalmente la schiavitù è stata abolita: nessun individuo può legalmente possederne un altro, servirsene, usarlo come un mezzo per raggiungere i suoi fini. E tuttavia, nella sostanza, la schiavitù è purtroppo viva e vegeta nelle nostre società. In forme talvolta clamorose, come nella tratta degli esseri umani, o in certe forme di schiavitù sessuale, nella detenzione senza diritti, nel traffico di organi. Quelle però sono solo le forme estreme ed eclatanti di schiavitù, quelle che finiscono sui giornali, quelle per le quali ciascuno di noi pensa «ah che cose orribili, per fortuna non mi riguardano né mi riguarderanno mai». Accanto a quelle, ve ne sono di più sfumate, di meno visibili. Perché, in realtà, la riduzione di un nostro simile in schiavitù inizia ogniqualvolta non sappiamo «resistere alla tentazione di comportarci in modo non degno della nostra umanità», ogniqualvolta, ha detto il papa evocando le parole del filosofo illuminista Immanuel Kant, un nostro simile viene privato della dignità e trattato come un mezzo e non come un fine in sé.

LA SCHIAVITÙ ESISTE ANCORA

E allora diventa schiavistica anche quella situazione nella quale un imprenditore, approfittando di una legislazione ingiusta che condiziona la legalità del soggiorno ad un contratto di lavoro, costringe un immigrato a vivere e a lavorare in condizioni indegne e abbiette, di lavoro “schiavo”. Così come sono premesse per lo schiavismo la povertà, l’esclusione sociale, il sottosviluppo, specialmente quando si combinano con il mancato accesso all’istruzione e le scarse opportunità di lavoro.
Schiavistico è il comportamento di quei datori di lavoro che non solo non garantiscono qui ai loro dipendenti condizioni di lavoro dignitose e salari adeguati, ma che non vigilano su quello che avviene lungo le catene di distribuzione dei loro beni, che non impediscono che non si verifichino, lontano dagli occhi dei consumatori finali, forme ripugnanti di asservimento e di traffico di esseri umani. E schiavistico infine rischia anche di essere il comportamento nostro, di tutti noi consumatori, quando veniamo meno alla nostra responsabilità sociale e ci dimentichiamo che “acquistare un bene è un atto morale oltre che economico”. E così chiedersi da dove vengano le banane che al supermercato stiamo per gettare distrattamente nel nostro carrello della spesa diventa un atto politico, una manifestazione della nostra volontà di combattere l’ingiustizia, lo sfruttamento, la schiavitù.

IL SENTIMENTO DELLA FRATERNITÀ

È magnifica la radicalità che mostra Francesco, la sua chiara volontà di andare appunto alla radice delle cose, di mostrare le conseguenze gravi di tanti atti apparentemente innocui che costellano la nostra vita quotidiana e di affermare implicitamente che schiavistico è certo il comportamento di chi intenzionalmente riduce in catene un suo simile, ma che diventiamo complici di costui se non ci ribelliamo, se ci facciamo dominare dall’indifferenza, dalla distrazione, dalla noncuranza. C’è una malvagità del fare, ma c’è anche, ed è più subdola, più maledettamente difficile da riconoscere e da estirpare, una malvagità dell’omettere, del non fare quello che avremmo dovuto fare e non abbiamo fatto.
Per i cristiani questi sono peccati, dei quali verremo chiamati a rispondere in altra sede, per noi altri sono colpe che mettono in questione la bellezza e la gioia del vivere. Per tutti sono minacce che continuano ad incombere sull’umanità e che giustificano la lotta, la ribellione, la presa d’atto, il risveglio delle coscienze e quel moto, negli uomini misteriosamente altrettanto spontaneo di quello verso la sopraffazione e la violenza, che ci conduce invece verso il più bello dei sentimenti umani, quella fraternità che ci fa sentire simili a quelle donne e a quegli uomini che, in un altro emisfero o nel nostro, abbiamo aiutato ad uscire da una condizione mortificante e disumana.