Turismo religioso. I turisti assaltano una chiesa. Un prete molto prete e un laico molto laico commentano

Foto: Danza macabra, Clusone, Oratorio dei Disciplini

Le parrocchie hanno delle piccole, ma utili opportunità pastorali nel turismo e in particolare nel turismo religioso. Ma secondo me, il turismo religioso ha due versioni: una positiva da coltivare e una meno raccomandabile.

IL TURISMO RELIGIOSO, UN’OCCASIONE FORMIDABILE DI PASTORALE

Mi trovavo con un mio ex-parrocchiano di Clusone, bravissima persona, ma religiosamente… non fanatica, nel bellissimo centro monumentale della parrocchia, assai frequentato da turisti provenienti un po’ dappertutto per vedere la Basilica e l’Oratorio dei Disciplini con la famosa Danza macabra, nota in tutta Europa. Era un giorno di particolare ressa e l’amico osservò con una punta di malizia:

«Per voi preti il turismo è un’occasione formidabile per propinare il vostro oppio dei popoli».
«Non ne sarei così sicuro! – risposi io – Guarda bene! Per la maggior parte di queste fulminee orde di vacanzieri, preoccupate più di fotografare che di guardare, passare davanti a queste chiese e passare davanti ai monumenti dei Maya o alle Piramidi è la stessa cosa».
«Ad ogni modo, – disse, mantenendo il tono amichevolmente polemico – queste straordinarie bellezze finiscono sempre per suggestionare».
«E perciò? ».
«Perciò finiscono per aprire dei grossi spiragli alla vostra propaganda religiosa».
Tacevo, perché non capivo bene dove voleva andare a parare.
«A mio parere però – continuò ragionando – voi non ci sapete molto fare in questo campo».
«Ah, sì? E che cosa dovremmo fare? Tu che cosa suggerisci? Sentiamo».

LE PARROCCHIE POSSONO UTILIZZARE IL TURISMO SIA ORGANIZZANDO SPEDIZIONI CHE ACCOGLIENDOLE

«Il mio consiglio, assolutamente gratuito, s’intende, e sicuramente disinteressato, dato il miscredente che sono, è che dovreste curare di più le grosse possibilità che vi son piombate addosso con questo boom turistico. Dovreste far di più, sia organizzando le spedizioni, sia accogliendole nelle vostre chiese».
Lo guardavo sempre più incuriosito del suo davvero inatteso interesse per la pastorale del turismo.
«Ma sì! – continuò incoraggiato – Pensa, se tu organizzassi per la nostra parrocchia delle belle gite a qualche nostra città, con tappa, che so, in una chiesa o in un santuario di quelli… coi baffi. Ti prepari bene per dare alla gente delle spiegazioni che ti permettano di tirare acqua al tuo mulino. Ai miscredenti la presenti, perché no?, come un’iniziativa cultural-ricreativa; ai bigotti la proponi come un pellegrinaggio e il gioco è fatto».
«Sì bravo. Io organizzo con questa tua idea una gita al Festival di Spoleto con sosta devota ad Assisi e poi tu saresti il primo a gridare allo scandalo dei preti mistificatori e approfittatori».
«Ma no! – si scansò l’amico – Non approfitteresti di nulla, perché, in fondo, le opere d’arte delle chiese sono state create per questo, per far pensare a qualche cosa d’altro, al di là delle nostre banalità».
Strabiliavo sempre di più, ma, conoscendo il mio pollo, le mie riserve rimanevano grosse.

IL TURISMO RELIGIOSO AUTENTICO NON È SEMPLICE TURISMO

«Per quanto mi riguarda, – gli dissi – non riuscirò mai a chiamare pellegrinaggio un viaggio a Biarritz con tappa anche prolungata a Lourdes. Per me i pellegrinaggi son viaggi con dichiarata e precisa impostazione religiosa. Sono una specie di corso itinerante di esercizi spirituale, dove si prega, si ascolta la parola di Dio, si medita, pur senza trascurare lo svago».
«Ti capisco! – convenne il mio interlocutore – Anzi son d’accordo con te. Con il mio discorso un po’ caricato io intendevo soltanto consigliarti di non trascurare nemmeno le gite con santuario incorporato, che non saranno pellegrinaggi veri e propri e forse nemmeno turismo religioso, ma sono pur sempre occasioni (come si dice?) d’incontro col sacro. Non ti pare? ».
«Il diavolo s’è proprio fatto frate» commentai, facendolo un po’ arrabbiare.
Intanto continuavamo a guardare la folla scamiciata e rumorosa dei gitanti e ognuno di noi si confermava nei propri pensieri. D’improvviso, l’amico fu curioso e mi chiese: «Dai, dimmi che cosa stai pensando».

UNA SPECIE NON RACCOMANDABILE DI TURISTI RELIGIOSI

«Pensavo che per me i turisti religiosi sono ancora tutta un’altra specie di gente».
«Ah, sì? E chi sarebbero? ».
«Quelli, per esempio, che la parrocchia modello è sempre un’altra, mai la propria. Quelli che il prete che ti lascia qualche cosa quando predica non è mai il tuo parroco. Quelli che liturgie vive, suggestive e parlanti si celebrano sempre altrove. Quelli che perciò sono come tifosi sempre in trasferta, alla ricerca mai paga di un cristianesimo su misura, o al seguito del prete in gamba che appaghi, lui sì, il loro prurito di novità, però senza altro impegno naturalmente. I turisti religiosi per me sono questi».
«Eh, beh! – osservò lui – Se nella bottega vicino a casa non trovano quello che cercano, non so che torto dargli se vanno altrove».
«Solo che la parrocchia non è il supermercato o il ristorante del sacro, dove uno va, ordina quello che gli piace e se ne torna a casa».
«E che cosa sarebbe invece? ».
«È la famiglia dei figli di Dio che vive in quel determinato luogo. E la tua famiglia potrà non essere la migliore, ma è la tua, dove, se vuoi che Cristo regni lì dove vivi, cerchi di condividere con gli altri le gioie, i dolori, le fatiche e le speranze; tutto senza sconti e senza fughe. La gioia del risultato ottenuto insieme, anche con qualche sacrificio, è impagabile. Te lo assicuro».