« Exodus: Dei e Re»: un polpettone biblico da manuale. L’ennesimo, inutile kolossal

Bello?, brutto?: mah, probabilmente inutile. Stiamo parliamo, naturalmente, di “ Exodus: Dei e Re” il nuovo film di Ridley Scott, polpettone biblico da 140 milioni di dollari. Come dice il titolo, il film dovrebbe raccontare il biblico esodo, appunto, del popolo ebraico dall’Egitto dopo più di quattrocento anni di schiavitù, per raggiungere la terra di Canaan.
Al titolo è stata aggiunta la dicitura Dei e Re probabilmente per non confonderlo con l’omonimo “ Exodus ”, film del 1953 diretto da Otto Preminger e tratto dal romanzo omonimo di Leon Uris (sceneggiato da Dalton Trumbo) ma che parlava di un altro tipo di esodo, quello degli ebrei verso lo stato di Israele nel 1947.
Detto questo, il film di Scott si rifà ovviamente ai classici del cinema biblico pietre miliari del quale restano capolavori come “la Bibbia” del 1966 diretto e interpretato da John Huston, o “I dieci comandamenti” del 1956 di Cecil B. DeMille, giusto per citare i più famosi di un sottogenere, il biblico appunto, che è stato per anni uno dei più prolifici della filmografia hollywoodiana (ne ricordiamo almeno ancora un altro, “La tunica”, di Henry Koster, del 1953, perché è stato il primo film ad essere girato con il formato CinemaScope). Si rifà a quel genere, dicevamo, rileggendolo, ovviamente, all’epoca degli effetti speciali visivi, della computer grafica e del formato 3D che dovrebbero, il condizionale è d’obbligo, garantirne l’efficacia. Così non è, secondo noi. Restando sul piano squisitamente tecnico, lasciando da parte, quindi, le polemiche sugli errori storici, sugli attori “occidentali” e altre questioni per le quali la visione del film è stata proibita per esempio in paesi come Il Marocco o l’Egitto, non ci sembra riuscito proprio sul terreno della spettacolarità (forse, andrebbe proprio visto in 3D), dove avrebbe dovuto basare gran parte della sua forza.
È vero che delle quattro ore originarie sullo schermo se ne vedono due e mezza e che i tagli probabilmente hanno pesato anche e forse soprattutto sul “respiro” della narrazione, ma nell’insieme c’è qualcosa che non quadra sempre perfettamente. Certo si tratta comunque di un filmone, di quelli che una volta sarebbero stati definiti “kolossal”: grandi masse di comparse, sfarzo di costumi e scenografie, paesaggi maestosi, una galleria infinita di personaggi, ecc. da questo punto di vista l’occhio dello spettatore è appagato. Sono bellissimi, per esempio, i paesaggi che fanno da sfondo al viaggio di Mosè, sono ben orchestrate le battaglie, è giustamente infido e ben tratteggiato il personaggio del vice re corrotto, così come alcuni altri personaggi di contorno. Per contro le sequenze delle piaghe d’Egitto sembrano un po’ frettolose e dal ritmo troppo incalzante, inframmezzate dalle spiegazioni dell’esperto di turno che cerca di spiegare al faraone che non si tratterebbe di eventi soprannaturali ma di fenomeni naturali, per quanto straordinari. Così come non ci ha convinto John Turturro nei panni dell’anziano faraone, mentre il discorso si fa più complesso per i due interpreti principali: Mosè e il giovane figlio del faraone (e poi alla sua morte, faraone lui stesso) Ramses. I due (il primo interpretato da Christian Bale, il secondo da Joel Edgerton), come si sa sono fratellastri ma il faraone sembra prediligere Mosè al figlio naturale che ne è ovviamente geloso, non sentendosi amato dal padre come vorrebbe.
È nel rapporto tra i due fratellastri che si nasconde, infatti, una delle chiavi di lettura di un film che, come dicevamo, è vero che si rifà ai “biblici” di una volta ma se ne discosta poi sotto diversi aspetti tra cui quello dell’insistenza sulla triangolazione dei rapporti tra il padre ei due figli e tra i due fratellastri. Così come la narrazione insiste spesso sulle vite dei due e su quelle delle loro famiglie, presentandoli, in fondo, come due esseri umani come tutti che vorrebbero solo vivere con la propria moglie e i propri figli. Anche qui però, sarà perché il nostro imprinting è ormai datato ai film del genere di cui abbiamo detto, ma Christian Bale (che pure ce la mette tutta) è stato uno dei Batman cinematografici e ci risulta un po’ difficile vederlo nei panni di colui che guida il Popolo Eletto anche perché Scott lo disegna un po’ come una sorta di gladiatore (si veda il suo film di maggiore successo, “Il gladiatore” appunto). Potremmo continuare ma insomma ci è sembrato un film in chiaro scuro, forse tutto sommato da rivedere, magari in 3D e dimenticandosi che nei film degli anni Cinquanta-Sessanta c’erano attori come il citato John Huston, e Charlton Heston, Yul Brinner, Anne Baxter, Edward G. Robinson e in ruoli “minori” gente come Vincent Price o John Carradine. Insomma: bello o brutto? Forse solo un po’ inutile.