Longuelo scopre «Il mangiare di Dio con noi» e legge Bonhoeffer

La quaresima come itinerario per ripensare la fede cristiana. Per ricordarci “chi siamo e da dove veniamo”. Per riproporre di volta in volta i grandi temi che stanno a fondamento dell’esperienza cristiana insieme ad alcuni “amici” che hanno segnato il panorama spirituale del cristianesimo.

Succede alla comunità di Longuelo che – dopo la veglia della Pace, ospitata lo scorso gennaio – si prepara a vivere il cammino quaresimale in vista della Pasqua con un compagno di viaggio speciale: Dietrich Bonhoeffer. Ne parliamo con il parroco, don Massimo Maffioletti: «È uno stile adottato da diverse comunità della diocesi, Longuelo compresa, quello di fare dei cammini in vista della Pasqua e del Natale. Crediamo fortemente che, per arrivare a un appuntamento importante, occorre essere preparati. A questo va aggiunta un’altra premessa: non si crede se non insieme. È vero che la fede è individuale,singolare, e nessuno può credere al posto di un altro come nessuno può vivere al posto di un altro, ma è anche vero che s’impara a credere soltanto insieme con altri fratelli. Il vangelo di Gesù è fraternità». E aggiunge: «L’idea degli itinerari ha l’obiettivo di mettere le mani in pasta ai grandi temi dell’esperienza cristiana. Una comunità ha bisogno, anno dopo anno, di riprendere in mano l’alfabeto e la grammatica di quello in cui crede, anche perché non ci sono più grandi spazi di catechesi e di riflessione».

Il tema che verrà affrontato è “Il mangiare di Dio con noi” cioè l’eucaristia. «Il titolo l’ho preso da un quaderno di studi memorie che il seminario di Bergamo ha pubblicato negli anni ’90, titolandolo proprio “Il mangiare di Dio con noi” – racconta don Massimo –. I nostri itinerari sono pensati annualmente: avvento e quaresima. In avvento il titolo era “Le case di Dio per l’uomo”, le case che Dio apparecchia all’uomo. Adesso Dio apparecchia la tavola attorno alla quale Egli mangia con noi. E non solo ci fa stare a tavola insieme a lui, ma in Gesù addirittura lui stesso è il nostro cibo. In fondo questa è la legge della vita: gli uomini mangiano davvero solo quando “mangiano” dell’altro e non solo per sfamarsi o per riempirsi la pancia, ma per riempirsi le mani, gli occhi, il cuore dei legami tra di loro. Non si può capire il vangelo se non interroghiamo il senso simbolico del vivere umano di cui il mangiare è cifra paradigmatica. Dunque, non si può comprendere l’eucarestia di Gesù se non capiamo appunto come l’uomo mangia».

Il percorso sul tema del mangiare-eucarestia verrà affrontato nella predicazione domenicale. C’è però un altro tassello che andrà a completare questo mosaico quaresimale. A partire dal 27 febbraio per tre venerdì – dalle 19.00 alle 20.00 in chiesa parrocchiale – insieme a Winfrid Pfannkuche, pastore della chiesa valdese di Bergamo, verranno letti dei brani tratti da “Vita comune” di Bonhoeffer, impiccato 70 anni fa dal regime nazista. Ce ne parla sempre don Massimo: «Tutti i giorni, nell’eucarestia quotidiana, e per tre venerdì, ci faremo accompagnare da un amico, un compagno di viaggio, esattamente come abbiamo fatto negli anni scorsi nei quali abbiamo incontrato, ad esempio, le figure di Agostino, Giovanni XXIII, Charles de Foucauld, Etty Hillesum. Bonhoeffer è stato un martire luterano protestante, ucciso su esplicito comando di Hitler perché aveva partecipato a una delle tante cospirazioni ai suoi danni. Abbiamo scelto lui perché dalle sue “Lettere dal carcere” (raccolte nel volume Resistenza e resa) emerge una nuova visione del cristianesimo: egli infatti si interrogava su “come può Cristo essere oggi il Signore per i non-religiosi”. Parafrasando diremmo: come può il vangelo parlare ancora all’uomo d’oggi, a quella cultura occidentale che sembra aver estromesso il cristianesimo pur avendo radici dichiaratamente cristiane? Bonhoeffer, in Resistenza e resa, utilizzava la seguente metafora: “Per me – scrive il 29 maggio 1944 – è nuovamente evidente che non dobbiamo attribuire a Dio il ruolo di tappabuchi nei confronti dell’incompletezza delle nostre conoscenze; se infatti i limiti della conoscenza continueranno ad allargarsi – il che è oggettivamente inevitabile – con essi anche Dio viene continuamente sospinto via, e di conseguenza si trova in una continua ritirata. Dobbiamo trovare Dio in ciò che conosciamo; Dio vuole esser colto da noi non nelle questioni irrisolte, ma in quelle risolte”. L’uomo deve cavarsela da solo, “etsi deus non daretur” (come se Dio non esistesse) citando Grozio».

La chiesa-tenda in cemento è stata allestita e imbandita come una vera e propria mensa. Al centro l’opera di Ezio Tribbia (“Pane di domani”) fa da tavola attorno alla quale condividere il cibo, in una sorta di sacra sindone del pane; ai lati, le lampade di Nadja Galli Zugaro, realizzate con lamiere “di scarto”, illuminano, come dei fuochi di fede, la liturgia quotidiana. Materiali poveri che tornano ad avere dignità, esattamente come il pane che torna ad essere spezzato per creare legami tra noi.