Suor Lucia: «Per conoscersi davvero bisogna mettere da parte la paura»

Suor Lucia delle Orsoline di Gandino segue il progetto «Figli del vento» da circa un anno. «L’attenzione ai rom, sinti, giostrai e viaggianti – spiega -, quelli che potrebbero essere in sintesi riuniti nel “mondo dei camminanti”, fa parte dell’attività pastorale dell’Ufficio migranti della diocesi. Prima di partecipare a questo particolare progetto mi era già capitato di conoscere persone che appartenevano a questo mondo ma in modo occasionale, per incontri personali. Quando perciò mi è stato proposto di svolgere questa attività l’ho considerata una bella sfida, un ambito da conoscere e da scoprire».
Per incontrare davvero queste persone, sottolinea suor Lucia «bisogna svestirsi delle paure e dei pregiudizi: solo con un contatto personale si può capire quanto siano infondati. Più ci si conosce più ci si libera e ci si rispetta. Anche se questo non vuol dire condividere e accettare tutto».
Alcuni dei sinti col passare del tempo hanno rinunciato alla condizione (che per la maggior parte di loro è comunque ormai formale) di nomadi e si sono trasferiti in appartamento, lasciando il campo: «Per loro non è facile, è proprio uno stile, un modo di vivere diverso. Apprezzano le comodità delle case, ma temono la solitudine. Ci sono comunque tante belle esperienze: riescono a trovare comunque la propria dimensione. Mi è capitato per esempio con una famiglia che ha chiesto e ottenuto di poter usare un piccolo angolo del cortile come spazio dove ritrovarsi: “Non è un giardino – mi hanno detto – ed è piccolo per almeno abbiamo il cielo sopra la testa”. E a volte basta poco per soddisfare questo bisogno, per mantenersi legati alle proprie origini, almeno idealmente».
I nomadi sinti vivono in modo molto sobrio: «Si concentrano sui bisogni quotidiani, su un’economia di sussistenza – aggiunge suor Lucia – e questo per noi è spesso particolarmente difficile da capire. Non fanno progetti a lungo termine, vivono alla giornata. Proprio per questo però spesso ci mostrano con le loro scelte cos’è davvero essenziale, cosa vuol dire vivere bene il presente».
Tra le difficoltà più grandi che i nomadi sinti affrontano c’è quella culturale: «Alcuni genitori – spiega suor Lucia – sono ancora analfabeti perché non hanno avuto la possibilità di frequentare la scuola in modo continuativo. Mandano i figli a scuola ma faticano a seguirli e a motivarli. Desiderano che abbiano le stesse opportunità degli altri ma non hanno gli strumenti adeguati per garantirgliele».
L’intervento di suor Lucia oltre che di osservazione, conoscenza e amicizia è anche di natura pastorale: «La maggior parte di queste persone è cristiana, molti richiedono la preparazione ai sacramenti. Quando è possibile vengono inseriti nelle parrocchie di riferimento, ma hanno comunque bisogno di essere accompagnati, anche per aiutarli a entrare nelle comunità e a non estraniarsi». Per i sinti oggi non è facile fare i conti con le tradizioni e l’identità culturale: «Temono di essere respinti, i pregiudizi li rendono socialmente più fragili e più insicuri. Da piccoli, nella scuola primaria, i bambini si integrano molto bene. Durante l’adolescenza nascono situazioni più difficili: c’è chi si rinchiude in sé, allontanandosi da tutti, e chi “esplode” o si ribella. Non è sempre facile fare i conti con le tradizioni, con la propria identità culturale, con la situazione sociale ed economica. Mi è capitato il caso di una ragazza che ora si sente pronta a preparare una tesina sui sinti per l’esame di terza media, è una bella conquista».
I sinti ormai sono sedentari: «Si muovono – spiega suor Lucia – solo per andare a trovare i parenti oppure per le vacanze. Sono italiani, alcune famiglie vivono qui da oltre quattrocento anni. Sono sempre stati molto uniti di fronte a una società che tende ad escluderli, anche se oggi, dicono gli anziani, anche sotto questo aspetto non c’è lo stesso legame di una volta nelle comunità. C’è comunque un ritmo comunitario diverso dal nostro: chi fa da mangiare sa che non lo prepara solo per la propria famiglia, chi passa mangia. Quando c’è un funerale le persone arrivano per partecipare anche da lontano. Anche le malattie si affrontano insieme, ne hanno paura ma sono presenti, attenti. Nel tempo hanno cambiato il loro modo di vivere: in passato facevano gli allevatori di cavalli, gli artigiani, realizzavano oggetti in ferro battuto. Ora gli uomini raccolgono ancora il ferro, anche se è un settore dove è sempre più difficile ottenere piccoli guadagni, ma cercano anche altri lavori come giardinieri, autisti, operai, le donne vendono fiori, oppure, se vengono accettate, lavorano come colf o badanti».
L’aiuto di suor Lucia e del progetto Figli del vento è stato accolto con gratitudine: «Cerchiamo anche – sottolinea suor Lucia – di svolgere un’opera di mediazione con le istituzioni e di aiutare a smaltire le pratiche burocratiche, di facilitare l’accesso la scuola e alle strutture sanitarie. Li incoraggiamo a partecipare alla vita della comunità, a capire come funzionano le cose». Pochissimi chiedono la carità: «Ho incontrato una signora anziana che lo fa – racconta suor Lucia – e mi ha colpito molto perché pur nella sua povertà ha una grande fede. Dice sempre “Il Signore sa che io ci sono e non mi abbandona. Se succedono tante cose negative è perché la gente non crede. Lei però ha una fortissima fiducia nella Provvidenza. È vero che i poveri evangelizzano noi e non il contrario, a patto che ci lasciamo toccare il cuore. Nella sua povertà è sempre molto attenta: ci dice di coprirci, di non stancarci, ha sempre una parola gentile per tutti».
A livello ecclesiale c’è molta attenzione e un documento fatto sulla pastorale dei rom e dei sinti orientamenti per una pastorale degli zingari del 2005.