La tecnologia può essere sostenibile? Il percorso dei Cammini di sobrietà a Redona

A Redona sono in corso i «Cammini di sobrietà » dell’associazione «Le piane di Redona». Quest’anno il tema è particolarmente intrigante: «Tecnologia tra ambiente e paesi poveri». Hanno guidato la riflessione Nicola Cremaschi, presidente di Lega Ambiente, il quale ha lavorato in una consociata di Apple, Ippolito Perlasca, in collegamento tramite Skype da Bujumbura, la capitale del Burundi e Vittorio Paris, studente di ingegneria edile e fondatore di FabLab Begamo.

TECNOLOGIA E AMBIENTE

Cremaschi ha spiegato come è riuscito a conciliare il proprio lavoro in una multinazionale come Apple con il suo impegno in Lega Ambiente. È stato fondamentale per lui comprendere che Apple si interessa non solo di vendere più prodotti possibili ma mette al primo posto le esigenze specifiche di ogni cliente. Apple inoltre offre un buon servizio di assistenza “face to face” e di formazione per lo stesso. In secondo luogo segue la linea secondo la quale c’è un margine maggiore di guadagno nel riparare le macchine come nel sostituirne dei pezzi piuttosto che venderne di nuove. Ciò va contro la tipica logica consumistica da multinazionale. « Sobrietà in campo tecnologico» significa per Cremaschi usare materiali meno impattanti, che consumano meno, ma per stare al passo bisognerebbe comprare ogni giorno una macchina nuova perché si costruiscono in continuazione macchine sempre più all’avanguardia. L’acquisto migliore è una macchina non solo più durevole, ma la più vicina ai nostri bisogni: un telefono e un computer che dialogano bene tra loro, un telefono con una batteria adeguata alle prestazioni, e per quanto riguarda internet utilizzare una chiavetta con un tot di navigazione al mese (3gb o altro secondo le esigenze), senza più l’uso dell’Adsl con abbonamenti a connessione internet illimitata, che non servono più grazie agli smartphone che si connettono anche fuori casa. Per quanto riguarda i rifiuti elettronici, ossia ciò che rimane a fine vita di un apparecchio elettronico, bisognerebbe riportarlo dove ne vendono un altro e l’azienda dovrebbe ritirarlo, ma ciò non succede. Alcuni finiscono in cassonetti sbagliati o nei cassetti. A livello laboratoriale la possibilità di questa sorta di riciclo esiste e funziona ma a livello professionale non ancora. Cremaschi: «C’è ancora poca tecnologia per lavorare sulla tecnologia. Le macchine non sono pensate per il riutilizzo a parte quelle di alcune società». Una buona idea è quella di recuperare computer dalle aziende e inserirli in scuole, come è stato fatto in alcuni esperimenti italiani. Un’altra riflessione è sui materiali: nelle schede tecniche dei telefoni non tutti i componenti sono tracciati, alcuni non si sa da dove vengono, di che materiale sono fatti. Sono pochi i telefoni con tutti i materiali certificati, dove non c’è sotto qualche forma di sfruttamento lavorativo: il Fairphone è quasi tutto certificato e l’iPhone 6, che nonostante consumi molto e non abbia una batteria adeguata ha tutto in regola poiché i suoi componenti sono tutti tracciati. I computer vecchi invece hanno materiali spesso discutibili e anche se si può risparmiare installandovi un software libero come Linux si rischia di consumare di più a causa dei datati componenti a consumi elevati. In sostanza oggi è difficile essere sobri quando si parla di tecnologia, non ci sono le condizioni giuste per poterlo essere fino in fondo, si possono solo adottare degli accorgimenti.

TECNOLOGIA E PAESI POVERI

Ippolito Perlasca è un professore all’istituto Majorana e sta lavorando in alcune scuole del Burundi per migliorare la loro tecnologia e avere dei benefici in campo economico e sociale. Secondo Perlasca internet è utile come i beni di prima necessità per le popolazioni dei paesi poveri. Dal collegamento Skype si aggiungono un musicista e uno studente di Bujumbura, tradotti dal francese dalla figlia, che abita lì. In Burundi non c’è un processo lineare di sviluppo, con la globalizzazione esso procede anche con grossi salti in avanti, a differenza della gradualità che c’è stata nei paesi occidentali. Muoversi è difficile e costoso, le strade sono poco praticabili e così l’uso dei telefonini per trasmettere informazioni è molto importante, la rete copre tutto il paese. Con i telefonini è possibile trasferire piccole somme di denaro e credito telefonico e gli smartphone non sono inaccessibili, le compagnie telefoniche offrono accesso perenne ai social network. Fabrice è un cantante conosciuto a Bujumbura, abita in un quartiere periferico giovane e attivo della capitale. Usa internet per connettersi ad altri artisti in Europa e nel resto dell’Africa per scambiare registrazioni e fare collaborazioni a distanza. Oltre che per la sua carriera musicale gli è utile per informarsi, le notizie dei canali ufficiali di televisioni e giornali non sono le stesse che trova in in rete. È un momento delicato in Burundi, ci sono le elezioni e la libertà di stampa è limitata, i telegiornali sono concentrati solo su notizie dal Burundi. Fabrice utilizza anche Whatsapp per pubblicizzare i concerti e aggiornare sulle novità della sua carriera ma anche per offrire un servizio di noleggio di casse e impianti musicali. Ci sono differenti gruppi Facebook a Bujumbura molto attivi dove le persone si scambiano info per fare pubblicità ai locali senza spendere, sono molto seguiti. Inoltre in Burundi spesso si usa Viber per chiamarsi poiché il governo ha messo una tassa molto alta per la conversazione telefonica, infatti le vendite di traffico voce sono diminuite a vantaggio di quelle internet. Vianney è uno studente universitario e animatore che ha fatto un corso di formazione sull’uso del computer e dei blog. E’ diventato un blogger ma in Burundi c’è un bassissimo accesso a internet, forse arriva al 2% della popolazione. Infatti averlo in casa costa 100 dollari al mese, i più preferiscono averne accesso dal telefono, ma sono ancora pochi i fortunati che se lo possono permettere. Vianney: “bisogna allargare le opportunità perché su internet ci sono sempre informazioni attuali, aggiornate, si può vedere se un’informazione è ancora vera o è stata smentita o cambiata”. Investire su questi strumenti è importante perché ci si può confrontare con altre persone. Esiste una rete di blogger burundesi che si scambiano opinioni su soggetti diversi e comunicano su un gruppo Whatsapp. Inoltre è stato portato avanti un progetto in collaborazione con una radio locale con lo scopo di informare in maniera indipendente e dal basso, formando un ragazzo e una ragazza di ogni provincia che avevano il compito di fornire informazioni mediante delle fotografie in tempo reale, le quali venivano condivise su una pagina Facebook.
Dal pubblico si chiede se in Burundi internet potrebbe avere una grossa influenza anche nel cambiamento politico così com’era avvenuto tramite la Primavera Araba in Tunisia. Vianney risponde che c’è stato un episodio in cui tramite i social media molte persone si sono mobilitate in favore del giornalista Bob Rugurika, incarcerato con l’accusa di complicità nell’omicidio di tre suore italiane, sul quale stava indagando. La mattina della sua liberazione provvisoria molte persone sono scese in piazza, davanti alla sede della Radio Publique Africaine (Rpa) per festeggiare.

TECNOLOGIA E SENSIBILIZZAZIONE

Vittorio Paris chiude con una carrellata di esempi in cui la tecnologia promuove il cambiamento sociale, creando posti di lavoro per i giovani e sensibilizzando varie popolazioni, soprattutto in via di sviluppo su determinati temi, dai telefonini a basso costo della Vodafone che educano la popolazione indiana sulle basilari norme igieniche ai droni del futuro, progettati da un’università di Delft in grado di salvare vite trasportando fibrillatori, con un efficace volo senza ostacoli in linea retta raggiungendo alte velocità. I droni interessano anche la Lega araba per il trasporto di beni di prima necessità in bidonville e favelas. “Co-co-co” è la parola chiave, come il verso della gallina: Condivisione-Collaborazione-Cooperazione. Paris cita Arduino, nata in Italia per scopo didattici all’università Torino, una schedina elettronica con cui si può fare di tutto, da semplici giochi ad applicazioni più serie, la quale non è brevettata ed ha un costo limitato (35 euro). Raspberry invece è una scheda elettronica anch’essa a basso costo con cui si possono collegare monitor, tastiere, stampanti, creando un’intera aula informatica con l’ausilio della sola schedina, com’è stato fatto in una scuola in mezzo al Camerun. E’ importante ricercare uno sviluppo che non abbia come fine il brevetto ma sia incentrato sulla condivisione di idee, dove sia di primaria importanza sperimentare, testare, in modo da sviluppare applicazioni in maniera libera, come è possibile su Android. Un altro posto dove dare libero spazio alla creatività è il FabLab di Bergamo, con sede al Patronato San Vincenzo, un vero e proprio laboratorio dei mestieri, dove ci sono la falegnameria, il meccanico, delle stampanti 3D e un’aula studio per studenti universitari dove è possibile elaborare proprie idee, anche a livello informatico. L’idea prende origine dall’esperimento del FabLab di Napoli, con sede nella città della Scienza, i cui gli studenti hanno dato vita a degli oggetti con l’utilizzo delle stampanti 3D. Sognano di cambiare il mondo stampando oggetti come case, frigoriferi, ecc. utilizzando materiali del posto. Un esempio? Hanno realizzato una casa in argilla a Marrakech.
Dopo questi interventi e qualche domanda il pubblico si è riunito nell’atrio del Qoelet per un momento di convivialità in cui è stato offerto un piccolo buffet e delle proposte letterarie per approfondire le tematiche dell’incontro.

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