Confessione che passione: un pomeriggio in cerca di un don

Non avevo ucciso nessuno. Questo lo voglio chiarire subito. Avevo, però, alcuni dubbi che mi assillavano, quelli tipici da figlia di separati, e che da troppo tempo tenevo dentro. Ho quindi deciso di parlarne con un don: volevo confessarmi. Sono cristiana e certi miei atteggiamenti mi pesano, però mi riesce difficile perdonare certe ingiustizie grosse come macigni e che ancor oggi pesano sulla mia esistenza. Qui si aprirebbe un altro grande capitolo, ma la premessa era d’obbligo per spiegare che non avevo un’urgenza ma semplicemente avevo deciso di affidarmi agli insegnamenti di Gesù e, per le eventuali colpe, alla misericordia di Dio. Insomma: da ragazza cristiana, ma non di quelle sempre in chiesa o presentissima ad ogni attività parrocchiale, volevo confessarmi.

Per vari motivi, anche professionali, conosco molti sacerdoti ma ho deciso di chiedere al don che mi conosce meglio e io stimo di più. Non risiede vicino al mio paese, quindi ho provato a contattarlo più volte in parrocchia ma non c’era e, sapendo quanto sia allergico alla tecnologia, ho valutato che inviargli un messaggio al cellulare sarebbe stata solo una perdita di tempo. Non avevo urgenze, però finalmente mi ero decisa di “tirar fuori” quello che spesso in questi anni mi ero imposta di risolvere ma che sempre avevo rimandato.

Il primo sacerdote non rispondeva, quindi ho deciso di passare dal mio parroco. Anche lui conosce la mia storia, è abbastanza giovane per  capirmi e sempre molto disponibile con tutti. Suono il campanello e alla porta mi compare il curato che, mentre in maniera frettolosa mi dice che il parroco è impegnato, è già volato sull’auto con alcuni giovani. Potevo esser lì per qualsiasi motivo, ma lui mica me l’ha chiesto. In meno di un’ora, quindi, tre sacerdoti erano indisposti: chi introvabile, chi di fretta e chi impegnato.

Avrei forse potuto entrare in chiesa, ma sentivo dentro me che la voglia di confessarmi era diventata quasi una scommessa. Ho preso in mano il cellulare e facendo scorrere la rubrica ho mandato quattro messaggi uguali ai primi quattro don: Alberto, Alessandro, Andrea, Angelo. È poco serio, lo so, ma l’ho fatto. “Ciao don! Come va’? Avrei bisogno di confessarmi. Fammi sapere quando puoi. Grazie!” e mi sono pure firmata. Potrei fare l’elenco delle risposte, ma in sintesi tutti erano disponibili in teoria ma non in pratica.

Non ne faccio loro una colpa, però penso che a volte è meglio confessare chi te lo chiede e arrivare alla Messa o alla catechesi o alla riunione dieci minuti dopo.

Non ne dò una colpa ai don e so, ad esempio, che alcuni di loro hanno l’incarico in cinque-sei parrocchie che si trovano a chilometri di distanza. Credo però che il ruolo di un sacerdote sia prima di tutto quello di stare con la gente, forse con quella che ha più bisogno. Che tristezza pensare a un sacerdote come colui che dedica il suo tempo a rimbalzare da una riunione all’altra, come se la parrocchia fosse un villaggio turistico dove tutto dev’essere organizzato alla perfezione per i bambini dell’asilo, per quelli della catechesi, per le catechiste, per le famiglie e per la commissione degli affari economici ecc… ecc… e poi non ha tempo di fermarsi un quarto d’ora con chi chiede un aiuto spirituale.

La mia storia comunque ha un lieto fine: mi sono confessata dal primo sacerdote contattato. Rientrato a casa nel tardo pomeriggio, ha trovato le mie telefonate e ha rinunciato alla sua cena per dedicarmi del tempo. Rinunciare al pasto è una cosa eccezionale, che nemmeno pretendevo. Saper rinunciare a qualcosa di meno importante per dedicare un po’ del tempo a un sacramento credo sia anzitutto cristiano.