Salvatore Natoli: «La vita si allunga, ma l’immortalità è la grande illusione del nostro tempo»

«Non si parla della morte per timore, per scaramanzia o per non intristire chi sta accanto a noi, però è la comprensione di questo limite estremo nella nostra vita, che può dare un valore alla vita stessa. Quindi l’attenzione alla nostra mortalità fa maturare il valore della vita. La morte in quanto misura della nostra finitezza umana come nostro estremo confine può evitare deliri di superbia. Pensare troppo alla morte può intristire al punto di non dare più valore a niente, pensarci troppo è depressivo perché tutto sembra inane. D’altro canto anche non pensarci affatto è negativo, perché la dimenticanza della morte può fare emergere un senso di onnipotenza. C’è chi pensa alla morte in un modo particolare dicendo: “Visto che dobbiamo morire prendiamoci su tutto quello che ci viene offerto”. Questo è un modo sbagliato di esorcizzare la morte, perché si prende quello che la vita offre senza valutarlo. Non bisogna pensare né troppo né troppo poco alla morte, la saggezza aristotelica del giusto mezzo anche in questo caso resta sempre opportuna».
Il filosofo Salvatore Natoli riflette sul significato della morte, sull’aspirazione umana all’immortalità, sul progresso scientifico e su cosa siamo disposti a fare per rimanere giovani più a lungo possibile. «La cosa migliore resta sempre vivere bene il tempo che ci è assegnato». A pochi giorni dalla Pasqua, Natoli, nato a Patti nel 1942, Professore ordinario di filosofia teoretica presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Milano Bicocca, ricorda che «la Risurrezione è un atto di fede, i più sostengono che è un atto di fede in Gesù. Gesù è risorto davvero, anzi nella teologia classica Gesù era ritenuto “la primizia dei risorti” cioè quello che è accaduto a Lui accadrà a tutti gli uomini che credono in Dio».

 

La morte, tabù innominabile, da rimuovere. Eppure quella che San Francesco d’Assisi chiamava “Sorella Morte” mai come oggi è tanto rappresentata: nei telegiornali, nelle fiction e al cinema. Che cosa ne pensa?
«La morte per un verso è rimossa, per un altro verso è rappresentata. Rimossa nel senso che nella consuetudine della vita normalmente le immagini che si danno sono sempre immagini di efficienza, di fitness, di bellezza. La stessa scienza molte volte è presentata come qualcosa che può riparare i danni soprattutto grazie alle scoperte, però poi la morte la si incontra nascosta. Nelle malattie, per esempio la morte non è mai esibita ma subìta, un tempo la nostra società vedeva il depauperamento del corpo, vedeva anche la morte, c’era una presenza del funerale, della celebrazione rituale. Erano cose che coinvolgevano la vita collettiva, oggi nella vita comune l’immagine che si dà è un’immagine di salute. In questo punto di vista la morte irrompe nascosta. Per un altro verso irrompe ma come lontana, come un qualcosa che riguarda altri, anche se in questi ultimi tempi, con il terrorismo, comincia a riguardare anche noi. C’è una sorta di incubo, di paura diffusa, ora la morte ci può raggiungere mentre stiamo bene da ogni parte».

“Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia! Chi vuol esser lieto sia, di doman non c’è certezza”, scriveva nel XV Secolo Lorenzo il Magnifico nella Canzona di Bacco dei “Canti carnascialeschi”. Che cosa è disposto a fare l’uomo del Terzo Millennio per prolungare la giovinezza?
«Pare che sia disposto nella maggior parte dei casi a fare in modo di poter restare giovane il più a lungo possibile. Non è male che l’uomo si dia da fare affinché il corpo non decada e quindi lo valorizzi, affinché ci sia un’igiene alimentare, mentale, fisica. Queste sono cose opportune da fare non tanto per vivere a lungo ma per migliorare le condizioni ordinarie della propria esistenza, è quello che si dice “la cura della buona salute”. Una delle ragioni per la quale la durata della vita è aumentata è la sconfitta delle epidemie che producevano tassi altissimi di mortalità. Si sono irrobustite le costituzioni, perché c’è stata un’alimentazione meglio distribuita anche nei ceti più poveri, sono tutti elementi preventivi e curativi che hanno permesso un allungamento della vita. Quindi da questo punto di vista operare per migliorare le proprie condizioni e per valorizzare anche la propria stessa intelligenza è una cosa corretta e giusta. Quello che bisogna evitare è il mito dell’eterna giovinezza. La nostra è una società del fitness che mostra sempre immagini di vita giovane e bella, come se non si dovesse morire mai, questi sono fenomeni illusivi, quando iniziano i problemi veri ci si accorge subito che il fitness è una finzione. Occorre curare bene le proprie condizioni fisiche, mentali, sociali e ambientali, conservandosi al meglio delle proprie possibilità conducendo una vita adeguata. L’attività è tutto perché mantenere le condizioni suppone attività, esercizio, suppone, per usare un termine proprio di un mio ultimo scritto, perseveranza perché nulla può essere condotto a termine se non c’è tenacia, insistenza e perseveranza. Se si abbandona la presa, tutto crolla. Questo è indice di saggezza».

Gli esperti concordano: la vita media aumenta di un trimestre l’anno. Le scoperte della genetica degli ultimi cinquant’anni fanno ben sperare o forse paradossalmente viviamo troppo?
«La vita si è prolungata, però questo prolungamento non è associato a una vita sana. Ci troviamo di fronte a delle vecchiaie lunghe non sempre sane ma accidentate. L’allungamento della vita di per sé non è un bene, perché bisogna immaginare una vita lunga ma in buone condizioni di salute. Se si allunga il tempo ma la salute è precaria, è una condizione endemica di sofferenza. Si vive troppo? A volte sì e con grande fatica per chi è afflitto e per chi lo deve curare.  Da un certo punto di vista la vita si è allungata, adesso quello che bisogna fare è che non sia solo lunga ma sia autosufficiente, cioè sia “piena”. Dove si può arrivare? Questo non lo sappiamo, certo la scienza ci mette nelle condizioni di potere avere una vita più lunga ed efficiente insieme».

Nanorobotica, ibernazione, clonazione, terapia genica. L’immortalità resta un’illusione che esprime le contraddizioni che guidano la cultura contemporanea e regolano le nostre vite come sosteneva il filosofo e sociologo francese Jean Baudrillard?
«È naturale nell’uomo l’aspirazione a vivere a lungo, a prolungare al meglio la propria vita. D’altro canto l’aspirazione all’immortalità ha la dimensione del romanzesco e della fantascienza e non dell’esperienza concreta. Quando si è giovani si sta talmente bene che ci si dimentica di essere mortali, quando si comincia a stare male inizia il desiderio di morire. Queste tecniche, ibernazione, clonazione, terapia genica, sono rette dall’idea che si può prolungare la vita rendendola efficiente, questo è un investimento di ricerca sul futuro. Se noi possiamo fare questo è il meglio che la specie possa ottenere».

Uno dei tanti “miracoli” di Papa Francesco è di piacere anche ai laici, tra l’altro un recente rapporto Eurispes ha rilevato che gli italiani hanno fiducia nel Santo Padre, per ben l’89%. Gli esperti di comunicazione sostengono che Bergoglio è credibile perché “non finge”. Ci lascia una Sua opinione al riguardo?
«Ritengo che Bergoglio abbia una sua autenticità, crede a quel che dice, e fa quel che crede, quindi il Pontefice si presenta come una persona affidabile. Il Santo Padre nel suo pontificato sta sviluppando il tema centrale del Cristianesimo che è quello della Misericordia e della Giustizia. Infatti, la Sua missione evangelica è incentrata sull’aiuto ai deboli, la mitezza, la tenerezza e il perdono. Però Papa Francesco dice anche che “la corruzione spuzza”, che è un vizio da Inferno, quindi non è un Pontefice che si accoda al “buonismo”. Ha una misericordia là dove c’è debolezza, e ha una durezza dove c’è presunzione, resistenza. Bergoglio da questo punto di vista tiene insieme due cose che fanno parte prima ancora del Cristianesimo, della tradizione giudaica, cioè Giustizia e Misericordia. Aiutare chi sbaglia e condannare nettamente l’errore, quindi essere comprensivi per i singoli e spietati rispetto a atti ingiusti, L’aspetto umano, concreto, è ciò che ha reso molto amato Bergoglio, un Papa poco teologo, poco dottrinale ma “esistenziale”. Il Papa che più gli somiglia e al quale Francesco si ispira come stile, è certamente Giovanni XXIII che aveva più o meno gli stessi gesti».