Il mio parroco è molto simpatico. La simpatia non è un male, ma non basta

Cara suor Chiara, il mio parroco è molto simpatico. La gente gli vuole un gran bene. Da una parte sono molto contento: un po’ di vangelo passa anche attraverso la simpatia umana del prete. Dall’altra, però, mi chiedo: non è un po’ troppo fragile un vangelo affidato alla simpatia umana di una persona, seppur prete? Gesù, in fondo, era uno straordinario ammaliatore di folle (“nessuno ha mai parlato come quest’uomo”, dicono i soldati che non hanno avuto il coraggio di arrestarlo) ma non era sempre simpatico. Mario

IL FEELING E I SUOI LIMITI

L’annuncio del Vangelo, caro Mario, non può essere affidato alla sola simpatia personale: sarebbe veramente troppo fragile! Tuttavia, questa caratteristica umana costituisce uno dei canali privilegiati perché la Buona Notizia possa fare breccia nel cuore dei fratelli. Talvolta, questo sentimento nasce spontaneo nel nostro cuore, altre volte, invece, ci rendiamo conto che il solo feeling non è sufficiente a costruire relazioni interpersonali stabili ed evangeliche, poiché soggette esclusivamente ai nostri stati d’animo. È necessario, perciò, che la nostra capacità di relazionarci sia guidata, purificata e animata dallo Spirito e arricchita dei suoi frutti quali l’amore, la gioia, la pace, la magnanimità, la benevolenza, la bontà, la fedeltà, la mitezza, il dominio di sé (cfr san Paolo Gal.5,22). Il cristiano, e a maggior ragione il prete, è chiamato a costruire rapporti positivi e cordiali, anche con coloro suscitano disgusto e antipatia: piccole dosi di gentilezza, di cordialità, di buona educazione ci rendono, da un lato, un poco più amabili, così che i fratelli non abbiano a fare eccessivi sforzi nel volerci bene, dall’altro ci aiutano ad essere più autentici nell’annunciare il Vangelo. Un credente “acido”, un sacerdote sgarbato, una religiosa “zitella” rendono una pessima testimonianza al Vangelo!

LA SIMPATIA DA USARE CON SAPIENZA EVANGELICA

Il parroco sopra citato è, al contrario, dotato, di molta attrazione che lo rende ben voluto e ricercato dalla sua gente: tutto questo è un dono a vantaggio del ministero e non del proprio prestigio. Se nel “DNA” di quel sacerdote vi è inscritta una abbondante dose di simpatia, ben venga! E sia a gloria di Dio e ad edificazione del popolo affidato! Sarà suo compito imparare a trafficare questo talento con sapienza evangelica, affinché sia un punto forza a favore del vangelo, che, per giungere al cuore dei fratelli, necessita anche delle nostre ricchezze umane. Il rischio di fare troppo affidamento alle proprie doti naturali e fare del ministero un trampolino di lancio per avere successo e audience a scapito della missione ricevuta, considerando le proprie ricchezze il fondamento della propria missione è, tuttavia, reale; per questo è necessario che il consacrato sperimenti la propria fragilità, i propri limiti e viva una profonda vita spirituale: sarà il Signore Gesù, nell’intimità della preghiera, nel confronto con i fratelli, nella lettura dei segni dei tempi ecc. a suggerirgli le modalità più consone per usare al meglio i suoi doni di natura e di carattere, a servizio della Chiesa. Ma è necessario il sostegno della preghiera della sua comunità, affinché egli sia in grado di fuggire quella pericolosa tentazione di vivere il proprio servizio presbiterale secondo la logica del mondo, impoverendo la forza del vangelo.

GESÙ NON CERCAVA LA SIMPATIA DELLA GENTE

Anche Gesù ha sentito “il fascino” subdolo di questo inganno, suggerito dal nemico, quale via vincente alla realizzazione della sua già ricca umanità. Chi più di Gesù poteva appellarsi alle risorse della propria personalità per vivere la sua missione a proprio tornaconto? Non l’ha fatto, forte del suo rapporto con il Padre, al quale aveva affidato la fecondità del suo mandato. Pur di non venire meno alla propria fedeltà a Dio e alla sua identità di Figlio, infatti, non ha annacquato il messaggio che annunciava, anche a costo di rimanere solo e di apparire “antipatico”.

La fedeltà a noi stessi, alla nostra vocazione, ai talenti che ci sono stati affidati, talvolta ci chiede il coraggio di andare controcorrente e di affrontare incomprensioni e persino il disprezzo: “Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. (…) Ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. (…) Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi” (Lc 6,22-23.26).

Forte di questa parola il sacerdote potrà, così, trovare il coraggio di compiere scelte forti, radicali, “profetiche”che lo comprometteranno e, forse, lo lasceranno solo, ma che aiuteranno la sua comunità a crescere nella misura della statura di Cristo.